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La prima è qui
E la seconda vi spiega anche il famoso indizio di Panoramix, portandovi questa volta non nel mondo del lessico (il malum/malus del probabile fraintendimento), bensì in quello della Storia, e precisamente agli albori del Cristianesimo, quando “dàgli all’eretico” era la prima voce che i teologi del tempo segnavano in agenda (rigorosamente miniata).
L’eresia sta alla religione come la caricatura al ritratto: più che una invenzione di sana pianta, è una deformazione di una verità, vera o presunta che sia. Nel caso del Cristianesimo, essa era anche la spia di quanto forte fosse l’impatto delle nuove credenze sul popolo, secondo solo al desiderio dei singoli di voler modificare sulle proprie convinzioni il contenuto di un pensiero che non solo si fondava su testi sacri, ma che veniva anche codificato, sviluppato e custodito da una gerarchia, pure bella tosta. Mentre tutto intorno le istituzioni politiche si disgregavano, sotto la forza travolgente dei barbari invasori, che spazzavano via come fuscelli sistemi di governo, leggi e tradizioni secolari, la recente impalcatura della Chiesa cristiana era l’unica a reggere, a dispetto della sua “giovinezza”: tuttavia, per impedire all’edificio di crollare, bisognava rinsaldarne le fondamenta. E pazienza se questo significava mettersi in viaggio ed affrontare pericoli e scomodità di ogni tipo (il viaggio comodo è un concetto tutto contemporaneo, come ben sa chi è vissuto prima dell’avvento di Ryan Air): in tempi in cui le videoconferenze erano un miraggio e Skype sarebbe stato fonte di esorcismo, l’unica strada per il confronto erano i concili che, all’epoca, venivano organizzati a seconda di quanti fossero i tentativi di demolizione della dottrina cristiana: e siccome all’epoca le menti creative abbondavano, abbondavano anche queste affollate riunioni del clero dove si discuteva, spesso in modo acceso (da qui, l’espressione “darsela di santa ragione”) e da cui si usciva sempre con documenti che ricapitolavano in modo secco e preciso i punti su cui era scoppiata la lite. Di questi, il più famoso è il Credo, quello che si recita dopo l’omelia del sacerdote nella Messa cattolica: è un’edizione moderna e condensata dei pronunciamenti del Concilio di Nicea, forse il più famoso dell’Alto Medioevo e si differenzia dalle altre preghiere proprio per la sua natura di riepilogo sintetico dei fondamenti di questa confessione.
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Per gran parte dell’antichità e per tutto l’Alto Medioevo, l’Europa continentale fu contraddistinta dalla diffusione di due ceppi culturali differenti: a sud delle Alpi, viveva una popolazione mediterranea, di uomini e donne di bassa statura, dalla carnagione olivastra e dagli occhi scuri (prima che storciate il naso: saremmo noi); a nord, invece, c’erano questi omoni e questi donnoni belli robusti, biondi, con la pelle chiara e gli occhi azzurri, che popolavano la grande tribù dei Celti. Alle differenze di tipo somatico, si aggiungevano anche quelle di tipo culturale, in una lista infinita, che a noi interessa qui solo per una voce, quella relativa al frutto che meglio rapresentava l’uno e l’altro popolo. Se per i Mediterranei era l’uva, il frutto della vite, così importante da aver addirittura sviluppato un filone rituale autonomo, con propri culti e proprie credenze (la religione dionisiaca), per i Celti esso era costituito dalla mela.
Anch’essa, al pari dell’uva, aveva assunto una valenza sacra: tutti erano convinti che la mela contenesse l’essenza del sapore divino e che ne bastasse un morso per godere di un’illuminazione; sacerdoti celtici- i famosi druidi- usavano il sidro durante le cerimonie religiose; e, per finire, battezzarono il loro paradiso Avalon, cioè isola delle mele.
Per lungo periodo, le tribù celtiche vissero separate in clan, ciascuno con il loro druido: anch’essi si radunavano periodicamente e lo facevano nei boschi, vista la centralità della simbologia dell’albero nella cultura di questo popolo. Ma non si arrivò mai ad uno scontro vero e proprio con il Cristianesimo, almeno fino a quando, al termine di uno di questi incontri, i druidi decisero di costituirsi anche loro in una chiesa- la chiesa celtica- e di partire per l’equivalente della nostra evangelizzazione, finendo per contrapporsi ai missionari della fede cristiana
“Inutile dire che i due gruppi si detestavano con tutta l’anima. I monaci celti si rifiutavano di mangiare o pregare con i sacerdoti romani e ritenevano infetti gli utensili usati da questi ultimi. La chiesa di Roma, da canto suo, condannò come eretici i riti celti e minacciò di giustiziare i missionari celti che nel frattempo cominciavano a diffondere il loro verbo nell’Europa occidentale. Sul finire del IV secolo, la situazione stava precipitando e il mondo cristiano si stava spaccando in due“(1)
E fu quindi per questo motivo che, quasi per magia, sull’albero della conoscenza del Bene e del Male spuntarono le mele.
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L’artefice dell’innesto fu il poeta romano Avito che, nel 470 scrisse una delle prime drammatizzazioni della Bibbia, dal titolo “La Caduta dell’Uomo“, nel quale l’episodio del primo morso viene descritto più o meno così:
Una mela, fra quelle sull’albero fatale,
Avvolta da odore soave, si propose
Con sospiro insinuante, e si offrì a Eva
Vi ricordate quello che dicevamo la scorsa volta, a proposito della simbologia sessuale che venne attribuita al nostro frutto? Ecco: basta leggere questi versi per capire ancora meglio quanto fosse importante diffondere l’equivalenza fra “mela” e “tentazione”. Guardate i verbi: “si propose”, “si offrì”, con un linguaggio che è più consono ad una meretrice, che non ad un frutto. E i profumi, e i sospiri, vogliamo dimenticarli? In soli tre versi, ecco il coinvolgimento di tanti piani sensoriali – l’olfatto, l’udito, la vista (“avvolta”, quindi è da scoprire)- a conferma di come la tentazione coinvolgesse tutto l’essere umano, nella sua debolezza di uomo. Ma nessuna suspance, nel racconto, nessuna ansia di sapere come andrà a finire: che l’albero sia “fatale”, l’autore ce lo svela sin dal primo verso, a frustrare sul nascere qualsiasi tentativo di indentificazione nella protagonista. Chi tocca muore, insomma- e andiamo avanti.
L’opera di Avito ebbe un successo spaventoso, di critica (per chi sapeva leggere) e di pubblico (per chi la vedeva rappresentata) e tanto bastò per procurargli il soprannome di “Virgilio dei cristiani”. Da lì in poi, fu tutta una gara a chi le sparava più grosse: c’è chi volle immaginare che Cristo fosse stato crocifisso ad un melo, anziché ad una croce; chi disseminò mele sul Golgota, nelle prime raffigurazioni della crocifissione; e addirittura ci fu chi modificò nientemeno che lo scritto più famoso del ciclo di Re Artù e di Merlino, intitolato, guarda caso , l’Albero delle Mele, trasformando il frutto non nel simbolo della resurrezione, come da testo originario, ma in strumento di perversione, raffigurando il druido più famoso della storia “preso da follia e con la bava alla bocca”, per aver mangiato delle mele “piene di quei piaceri velenosi propri delle donne”
Alla fine, comunque, le mele si presero la loro rivincita: “i Celti veneravano gli alberi in generale, non soltanto i meli, e i loro sacerdoti erano soliti raccogliersi in meditazione in boschetti di frassini o di querce. Ed è da questi luoghi che noi prendiamo gli alberi che, ogni anno, a Natale, fanno bella mostra di sé nelle nostre case, con il loro profumo silvestre e i loro rami addobbati di palline colorate: e cosa sono queste palline, se non sacre “abal” (mele, in celtico), stilizzate, commercializzate, ma comunque rosse e verdi”, come qualsiasi mela che si rispetti.
Alessandra Gennaro
Bibliografia
Caio Giulio Cesare, De Bello Gallico
Goscinny- Uderzo: Asterix il Gallico
Goscinny- Uderzo: Asterix e il Falcetto
Lee Allen Stuart, Nel Giardino del diavolo
Le citazioni sono tratte da Lee Allen Stuart, Nel Giardino del diavolo, Milano 2005, pp.21-25, passim
13 comments
Bravissima Alessandra! È sempre un grande piacere leggerti.
Se dico che il mio matrimonio è stato centrato sulla mela? Allora posso dire che è stato un evento peccaminoso e magico!!!
Grazie Alessandra, le tue lezioni appassionano, hai un dono!
Questa però prima o poi ce la devi raccontare 🙂
Ecco appunto 🙂
ecco appunto 2 🙂
Bibliografia di tutto rispetto, chapeau!
Non cominciate, come prof l'ho chiesta per prima io!! 🙂
La Van Pelt è sempre la Van Pelt! Un articolo splendido che avrei voluto leggere quando andavo a scuola. Son d'accordo con Francy: magari averti avuta come prof! 🙂
Ale, io sono senza parole.
Io me lo stampo e me lo leggo e rileggo questo post, insieme al primo.
A volte vorrei avere un infinitesima parte del tuo sapere!
Bellissimo e interessante, grazie Ale. Sei proprio brava
Prox volta butti lì anche 2 o 3 date? Non riesco mai a contestualizzare con i soli riferimenti… abbi pazienza….Storia non mi piaceva, l'attaccavo con lo scotch per mantenere alta la media e per dimenticarla a 2 gg dall'interrogazione..
provo a rimediare. Tutte queste vicende si svolgono nel V secolo, ovviamente dopo Cristo.
Il I concilio di Nicea, quello contro l'Arianesimo da cui abbiamo derivato il Credo, è del 325. Le modifiche al cicolo di Merlino sono quelle effettuate da Goffredo di Monmouth, nel XII secolo.
grazie mille 🙂
Se solo avessi avuto te come prof… immensa Ale!
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