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testo e foto di Cristiana De Paola- Beuf à la mode
Pur essendo ben poco romana mi ci sento fino al midollo (per restare in tema!).
Roma ha il fascino di aver accolto tanti, di esser stata luogo di passaggio di molti, di aver preso da ciascuno qualcosa in più facendolo proprio, senza snaturare la propria identità. Parlare di ebrei come un qualcosa di altro per noi romani non è cosa possibile: la comunità ebraica è presente a Roma dal II secolo a.C., si è consolidata dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme nel 70 d.C e è andata crescendo nel corso degli anni fino a raggiungere l’apice nel 1492 con l’espulsione dalla Spagna e dalla Sicilia da parte dell’Inquisizione. Alessandro VI, papa Borgia, accolse i fuggiaschi nella città eterna…di sicuro non per magnanimità…e cominciò a delinearsi una ben precisa localizzazione degli insediamenti ebraici nella zona che va da Trastevere al Portico d’Ottavia. La prima comunità viveva su palafitte, ai bordi del Tevere, nella zona del mercato del pesce, dove sorge Sant’Angelo in Pescheria.
Nel 1555 papa Paolo IV, con la bolla Cum nimis absurdum, revocò tutti i diritti concessi agli ebrei romani e ordinò l’istituzione del ghetto. Venne costruita una cinta muraria che circondava una zona ben delimitata con due porte che venivano chiuse al tramonto e riaperte all’alba.
Era loro proibito l’esercizio di qualsiasi commercio ad eccezione di quello degli stracci e dei vestiti usati. Le condizioni di vita non erano delle più semplici. La zona era alquanto ristretta e con la seconda espulsione, nel 1569, di tutti gli ebrei dallo stato della Chiesa, tranne che da Roma e da Ancona, il numero dei reclusi crebbe in maniera esponenziale. Si cercò di ovviare alle difficoltà costruendo in altezza, cercando di ricavare spazio dove non ve ne era. La vicinanza col Tevere e le frequenti esondazioni non rendevano la vita facile.
Era loro proibito l’esercizio di qualsiasi commercio ad eccezione di quello degli stracci e dei vestiti usati. Le condizioni di vita non erano delle più semplici. La zona era alquanto ristretta e con la seconda espulsione, nel 1569, di tutti gli ebrei dallo stato della Chiesa, tranne che da Roma e da Ancona, il numero dei reclusi crebbe in maniera esponenziale. Si cercò di ovviare alle difficoltà costruendo in altezza, cercando di ricavare spazio dove non ve ne era. La vicinanza col Tevere e le frequenti esondazioni non rendevano la vita facile.
La cucina ebraica romana si è sviluppata di pari passo a quella locale, scostandosene nella particolarità del rispetto per il kashrut, facendo sì che i piatti ebraico-romani siano entrati a far parte a tutti gli effetti della gastronomia romana, mentre i piatti romani non ebraici restino fuori dalla selezione rabbinica.
E’ una cucina povera, preminentemente una cucina famigliare, in cui l’abilità delle donne riesce a trasformare gli scarti in piatti: le guscette di piselli (i baccelli conditi con olio e sale), le testine di spinaci (le semplici radici ripulite e condite), i tagli meno pregiati della carne, gli scarti del pesce…avete presente la bottarga? Il fumetto di pesce? Tutto nasce da qui: dalle sponde del Tevere, dal divieto di vendere pesce che superi una certa misura (capita piscium/hoc marmoreo schemate longitudine/maiorum usque ad primas pinnas/inclusive conservatoribus/danto) perché destinato ai membri del consiglio capitolino.
La cucina ha un fascino tutto particolare perché nasce dall’incastrarsi di vari elementi. Sapori che provengono dal sud, come l’agrodolce dato dall’uvetta e i pinoli, che si ritrova nella coda alla vaccinara o nel baccalà; cotture lunghe e prolungate, come lo stracotto…che si può tenere in caldo dal venerdì al sabato per rispetto dello Shabbat, i fritti: i filetti di baccalà, i carciofi, i torzelli (l’indivia fritta) in cui l’olio d’oliva, con i suoi significati simbolici, regala un valore aggiunto ai piatti.
Non so se è corretto parlare di diretta influenza tra cucina ebraica e cucina romana, credo che piuttosto si possa parlare di uno scambio reciproco nato dagli stessi bisogni e dalle stesse necessità . Gli ebrei pur venendo relegati all’interno del Ghetto, riaperto nel 1870 (!), riuscirono a far passare molto dall’altra parte in maniera così forte che ancora oggi molti piatti della nostra tradizione hanno origine lì, tra quelle mura.
Fonti.
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“Buon appetito. Beteavon” di Riccardo Segni
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“Cucina ebraica in Italia” di Mira Sacerdoti
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“La cucina ebraica in Italia” di Joan Rundo
- la signora Emilia del Centro di Cultura Ebraica di Roma
9 comments
Purtroppo a Palermo, la cucina ebraica si è persa, così come il quartiere di cui si conserva lo un vicolo. Che peccato lasciarsi sfuggire certe occasioni … :/
Grazie alla vicinanza sono spesso a Roma e oltre a museii e chiese, negli anni ho cercato sempre più di visitare e conoscere Roma tramite i suoi mercati, le botteghe, i ristoranti e qualsiasi posto dove trovare cibi, prodotti, piatti veramente tipici. La cucina giudaico romanesca è molto significativa e ricca di storia, mi piace perdermi nella zona del Ghetto.
Mi piacerebbe leggere il parere di un vero romano come te, Cristiana, circa luoghi imprendibili per cogliere ulteriormente un po' di questa romanità in chiave ebraica 😉
Buona giornata
AngelaS
Intendendomi leggermente di cucina ebraica, soprattutto della tradizione italiana, posso dirvi che la cucina giudaico romanesca non ha eguali? Grazie Cri per il tuo bellissimo articolo 🙂
molto interessante, grazie!
Bellissimo post Cri. A me piace moltissimo passeggiare nel ghetto si respira quell'aria di storia ( a volte triste) e tradizione che le altre vie frenetiche hanno dimenticato. E poi per quanto riguarda la cucina ci sono posti fantastici, dal forno Boccioni alle trattorie più buone.
Grazie! un abbraccio
Bellissimo post, adoro Roma e ogni volta che ci vado non posso mancare di perdermi nelle vie del ghetto dove mi è capitato più volte di mangiare piatti tipici della tradizione ebraica (potrei fare follie per un carciofo alla giudia). Grazie per il tuo racconto davvero interessante.
Bellissimo post, adoro Roma e ogni volta che ci vado non posso mancare di perdermi nelle vie del ghetto dove mi è capitato più volte di mangiare piatti tipici della tradizione ebraica (potrei fare follie per un carciofo alla giudia). Grazie per il tuo racconto davvero interessante.
Ma dai, sapevo che la cucina ebraica ha influenzato quella italiana, ma non immaginavo che il suo apporto fosse così grande.
Grazie Cri!
Roma l’ho sempre vista, oltre che come un crocevia di popoli, come una mamma amorevole che accoglie e sa far convivere etnie molto diverse fra loro. E’ stato molto interessante leggere della storia della comunità ebraica a Roma e di quanto abbia influito sulla cucina locale, un racconto che ho letto fino alla fine e che mi ha fatto venir voglia di tornare a Roma ad assaggiare la vostra meravigliosa cucina! Grazie! Francy
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