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testo e foto di Alessandra Gennaro
Confesso di aver esitato parecchio prima di proporre questa ricetta : non tanto per la carta d’identità di questa
minestra, che è antichissima, specie nella versione povera, quanto per
l’ingrediente principale, che non è propriamente roba da blog. Sto
parlando della trippa, oggi poco presente sulle tavole reali e virtuali
delle nostre cucine ma un tempo diffusissima, almeno qui a Genova, dove
le tripperie abbondavano. Non dico che ce ne fosse una in ogni angolo,
ma una in ogni quartiere, sì: così come era facile trovarla sui banchi
del macellaio, senza doverlo ogni volta supplicare per l’ordinazione.
Anzi, a pensarci bene, temo che la mia avversione per la trippa debba
imputarsi proprio a queste botteghe che, già al mattino, iniziavano a
lavarla e a preparare i brodi. A me toccava passare davanti ad una di
queste, d’estate, tutti i santi giorni e vi assicuro che avrei dato
qualsiasi cosa per un percorso alternativo che purtroppo non c’era. Da
allora, sono diventata un mostro nelle immersioni in apnea, ma di trippa
neanche a parlarne.
minestra, che è antichissima, specie nella versione povera, quanto per
l’ingrediente principale, che non è propriamente roba da blog. Sto
parlando della trippa, oggi poco presente sulle tavole reali e virtuali
delle nostre cucine ma un tempo diffusissima, almeno qui a Genova, dove
le tripperie abbondavano. Non dico che ce ne fosse una in ogni angolo,
ma una in ogni quartiere, sì: così come era facile trovarla sui banchi
del macellaio, senza doverlo ogni volta supplicare per l’ordinazione.
Anzi, a pensarci bene, temo che la mia avversione per la trippa debba
imputarsi proprio a queste botteghe che, già al mattino, iniziavano a
lavarla e a preparare i brodi. A me toccava passare davanti ad una di
queste, d’estate, tutti i santi giorni e vi assicuro che avrei dato
qualsiasi cosa per un percorso alternativo che purtroppo non c’era. Da
allora, sono diventata un mostro nelle immersioni in apnea, ma di trippa
neanche a parlarne.
Chi si duole di più di questa faccenda
è ovviamente il marito che, invece, ne è un grande estimatore:
tuttavia, la sua è la generazione di chi non ha mai messo piede in una
tripperia nè mai ha provato l’esperienza quasi mistica della scodella
del brodo, servita e consumata direttamente ai tavoloni di marmo,
all’interno del locale. Queste sono le storie di mio papà, quando ancora
non si usava ristorarsi dalle notti brave con la focaccia della prima
infornata del fornaio aperto la notte. E le generazioni ancora
precedenti la servivano come cibo ristoratore: noi siamo terra di
portuali e di camalli, gente avvezza alla fatica della notte che, a metà
del loro lavoro, si concedeva una pausa, prendendo un brodo ristoratore
in una delle tante osterie che allora affollavano il nostro angiporto.
è ovviamente il marito che, invece, ne è un grande estimatore:
tuttavia, la sua è la generazione di chi non ha mai messo piede in una
tripperia nè mai ha provato l’esperienza quasi mistica della scodella
del brodo, servita e consumata direttamente ai tavoloni di marmo,
all’interno del locale. Queste sono le storie di mio papà, quando ancora
non si usava ristorarsi dalle notti brave con la focaccia della prima
infornata del fornaio aperto la notte. E le generazioni ancora
precedenti la servivano come cibo ristoratore: noi siamo terra di
portuali e di camalli, gente avvezza alla fatica della notte che, a metà
del loro lavoro, si concedeva una pausa, prendendo un brodo ristoratore
in una delle tante osterie che allora affollavano il nostro angiporto.
Ma
l’origine di questa zuppa è assai più antica- e il suo uso originario
assai più drammatico. Essa era infatti l’ultimo pasto dei condannati a
morte, passando caritatevolmente dalle mani degli “sbirri” (da qui il
nome) che erano di guardia alla Torre Grimaldina, nelle prigioni di
Palazzo Ducale e che si concentravano attorno all’Oratorio di
Sant’Antonio, da loro detto “dei Birri”. La menzione non è casuale,
perchè ci permette di datare l’origine di questo piatto all’anno di
fondazione dell’oratorio, quel 1479 che si colloca al di qua della
scoperta dell’America- e quindi dell’importazione di patate e pomodori:
la vera sbira, quindi, è quella che qui sopra, per comodità, abbiamo
chiamato “povera”- ma che forse avrebbe avuto senso battezzare “antica”-
proprio per l’assenza di questi due ingredienti che, invece,
arricchiranno la versione più sostanziosa e saranno il perenne
accompagnamento delle trippe, qui a Genova.
l’origine di questa zuppa è assai più antica- e il suo uso originario
assai più drammatico. Essa era infatti l’ultimo pasto dei condannati a
morte, passando caritatevolmente dalle mani degli “sbirri” (da qui il
nome) che erano di guardia alla Torre Grimaldina, nelle prigioni di
Palazzo Ducale e che si concentravano attorno all’Oratorio di
Sant’Antonio, da loro detto “dei Birri”. La menzione non è casuale,
perchè ci permette di datare l’origine di questo piatto all’anno di
fondazione dell’oratorio, quel 1479 che si colloca al di qua della
scoperta dell’America- e quindi dell’importazione di patate e pomodori:
la vera sbira, quindi, è quella che qui sopra, per comodità, abbiamo
chiamato “povera”- ma che forse avrebbe avuto senso battezzare “antica”-
proprio per l’assenza di questi due ingredienti che, invece,
arricchiranno la versione più sostanziosa e saranno il perenne
accompagnamento delle trippe, qui a Genova.
Mi
fermo qui e- come ben sa chi mi conosce- è una forzatura: dipendesse da
me, starei a parlarvi della mia città per ore e ore. Ma il tempo
incalza e le ricette sono due, per cui è il caso di passare alla parte
operativa che, come tutto ciò che riguarda quello che a me non piace, è
gravata interamente sulle spalle di mia mamma. Io mi sono limitata a
“camallare” le zuppe fino a casa e il marito si è sacrificato ad
assaggiarle, interrompendo i ferrei propositi di altrettanto ferreo
digiuno, formulati nelanche mezz’ora prima. Gli ho tolto a forza la
terza scodella- il che presumo valga come attestato di gradimento…
fermo qui e- come ben sa chi mi conosce- è una forzatura: dipendesse da
me, starei a parlarvi della mia città per ore e ore. Ma il tempo
incalza e le ricette sono due, per cui è il caso di passare alla parte
operativa che, come tutto ciò che riguarda quello che a me non piace, è
gravata interamente sulle spalle di mia mamma. Io mi sono limitata a
“camallare” le zuppe fino a casa e il marito si è sacrificato ad
assaggiarle, interrompendo i ferrei propositi di altrettanto ferreo
digiuno, formulati nelanche mezz’ora prima. Gli ho tolto a forza la
terza scodella- il che presumo valga come attestato di gradimento…
In origine, come vi dicevo, non c’erano
nè pomodori, nè patate, ma solo un buon brodo di trippa, profumato col
rosmarino e reso deciso dalla presenza dell’aglio.
nè pomodori, nè patate, ma solo un buon brodo di trippa, profumato col
rosmarino e reso deciso dalla presenza dell’aglio.
Trippa del tipo Centopelle (tagliata a listarelle), circa un kg
Olio EVO
Rosmarino
Aglio
Alloro
Sedano
Carota
Sale
Pepe
Parmigiano reggiano grattugiato
Fare
imbiondire l’aglio nell’olio e poi soffriggere il sedano e la carota,
finimente tritati. Aggiungere la trippa, tagliata in strisce sottili,
far insaporire, salare, pepare, aggiungere il rosmarino e coprire con
acqua. Mettere il coperchio e far cuocere a fiamma lenta per un’ora e
mezza, mescolando di tanto in tanto per evitare che le trippe si
attacchino al fondo della pentola.
imbiondire l’aglio nell’olio e poi soffriggere il sedano e la carota,
finimente tritati. Aggiungere la trippa, tagliata in strisce sottili,
far insaporire, salare, pepare, aggiungere il rosmarino e coprire con
acqua. Mettere il coperchio e far cuocere a fiamma lenta per un’ora e
mezza, mescolando di tanto in tanto per evitare che le trippe si
attacchino al fondo della pentola.
Servire con pane abbrustolito e una bella manciata di Parmigiano.
LA SBIRA- versione ricca
(ricetta tratta da “Ricette di Osterie e Genti di Liguria-Slow Food Editore, con qualche modifica)
Piccola premessa: questa versione
prevederebbe il midollo di bue, che però oggi non si trova e si può
quindi sostituire con il lardo. Abbondano le patate e i pomodori, che
qui entrano nella forma appetitosa del sugo di carne (il famoso tuccu,
l’antesignano della Genovese): nella ricetta che riporto, la carne non
c’è; nella ricetta di mia madre, ce n’è qualche pezzo, ad arricchire
ulteriormente un piatto già ricco di suo.
prevederebbe il midollo di bue, che però oggi non si trova e si può
quindi sostituire con il lardo. Abbondano le patate e i pomodori, che
qui entrano nella forma appetitosa del sugo di carne (il famoso tuccu,
l’antesignano della Genovese): nella ricetta che riporto, la carne non
c’è; nella ricetta di mia madre, ce n’è qualche pezzo, ad arricchire
ulteriormente un piatto già ricco di suo.
Per 4 persone
un kg di trippe (centopelle)
70 g di burro
mezzo bicchiere d’olio EVO
50 g di lardo o midollo di bue
una cipolla
una costa di sedano
una carota
un ciuffo di prezzemolo
20 g di funghi secchi
qualche pinolo
sugo di carne (arrosto o stufato)
mezzo bicchiere di vino bianco secco
fette di pane abbrustolito
brodo caldo
4 patate lesse
1 manciata di grana
sale
Tagliate
la trippa a listarelle. Mettete in casseruola il burro, il lardo (o il
midollo) e l’olio d’oliva. rosolatevi le verdure e i funghi, tutto
tritato. Raggiunta la doratura, unite le trippe, alcuni pinoli pestati,
il vino, che farete sfumare. rimestate, salate e versate il sugo di
carne già preparato. A fuoco lento, fate cuocere, a casseruola coperta,
per un’ora e mezza. Mettete sul fondo di ciotole capaci il pane tostato
che avrete inzuppato di brodo caldo, spolveratelo con frana, aggiungervi
le patate a pezzi, un mestolo di trippa e un mestolo di sugo.
12 comments
Fosse per me, mia cara potevi continuare a raccontare, tra l'altro ho un caffè in mano, segno che la mia giornata è un pelino più lunga del solito 😀
Appartengo alla squadra del Signor Marito della Raravis, apprezzo decisamente questo tipo di cucina, specie la versione povera 🙂
Colgo l'occasione per augurare a te e ai nostri comuni amici foodies una buona Pasqua, serena per quanto sia possibile, faticosa il minimo prescritto, gioiosa e rassicurante sopra ogni cosa, un abbraccio
Ale
Grazie per queste notizie storiche e culturali sulla sbira, gustose come la sbira stessa!
Trippa Ligure tu e alla Parmigiana io.
La differenza è quella che io la mangio e tu…no.
Se mai il tuo degno consorte volesse assaggiare anche questa versione, sappi che ne ho fatta una vagonata e che mio padre, che pur si è sacrificato, ha dovuto limitarsi (ed io sarei a dieta e in forse se fare un'altra versione di quinto quarto).
A Milano ce ne è ancora una di bottega che vende trippa e, guarda caso, giusto nel mercato coperto di Piazza Wagner (da Bulgari, insomma). Se ce la faccio magari passo a far qualche foto, dato che ho l'impressione che presto svanirà anche questa…
Bello passare di qui e imparare sempre qualcosa di nuovo.
Insomma, mentre io ricavo ricette da fogli di quaderni consunti, tu mi illustri fior di ricette con fior di storia.
Grazie Ale!
Nora
Bellissime le tue storie genovesi, anche quando si parla di trippa. Ho avuto la fortuna di visitare una tripperia storica, che mantiene i tavoloni di legno, su cui però non si siede più nessuno (troppo difficile ed economicamente impegnativo sottostare alle moderne regole della somministrazione, per loro).
Ho assaggiato la vostra trippa accomodata, ma mai la sbira.. e quanto mi piacerebbe!! So che l'adorerei!!
Un piatto meraviglioso che risveglia l'acquolina
ed entrare nei tuoi post ricchi di racconti di vita vissuta o tramandata è un tuffo in quei profumi e sapori che è giusto risvegliare in ognuno di noi perchè fanno parte del nostro patrimonio
Qui non ho ricordi di tripperie o di macellerie così fornite però un buon piatto di trippe nelle trattorie si trovava sempre, La birreria Pedavena era un locale storico proprio per le sue trippe, però adesso (la gestione è cambiata) a detta del marito non sono più buone come quelle di allora e io ho il sospetto che siamo piatti già pronti e riscaldati al momento
In questi giorni ha riaperto in centro una macelleria, pensa che i miei ricordi di ragazza me ne fa contare sicuramente 4-5 più 2 di carne equina, per prima cosa mi sono ordinata un pezzo speciale che ti svelerò nei prossimi giorni, prossimamente vedrò di chiedergli anche la trippa e farò sicuramente felice il marito !!!!!
colgo l'occasione per augurarti una Pasqua serena
un abbraccio Manu
Sapevo che questa sfida non era nelle mie papille gustative, ma leggere le ricette o i racconti mi sta affascinando…
Visto che ci siamo vicini, approfitto di questo tuo bel racconto per fare gli auguri di Buona Pasqua a tutti.
Debora
Nooo, per me potevi continuare a parlare di Genova, ogni volta che lo fai rimango affascinata e mi si risvegliano ricordi e nostalgia. Io ho lo stesso problema tuo con la trippa e come te per questo faccio un torto a mio marito. Bravissime, tu per il tuo modo sempre fantastico di scrivere e la mamma per questi piatti eccezionali.
questo era un vecchio post di menuturistico, un po' sforbiciato per l'occasione: ma mi spiaceva non portare il contributo della mia città, visto che anche Genova ha cantato le lodi del quinto quarto, legandolo indissolubilmente al suo cuore, vale a dire il porto e i caruggi. Avrò occasione di approfondire l'argomento, perchè mi son presa un altro bell'impegno che riguarda proprio la cucina ligure e di sicuro tornerò qui a parlarne, a maggior ragione se so che ci sono appassionati come te, che a Genova hanno un pezzo di DNA e di cuore..
Grazie Ale e grazie Corrado! Una delle cose che amo di più della cucina è il potere che ha nel riportarti alla memoria ricordi passati. A volte basta un odore, un sapore sulla lingua…Per me la cucina è anche e soprattutto questo, forse perché a casa le si è data sempre molta importanza. Mia madre e mia nonna potevano stare ore a parlare di ricette o a ricordare i piatti preparati dalle bis e trisnonne. Avevo sentito parlare della "sbira" e del fatto che fosse l'ultimo pasto dei condannati a morte, ma tu riesci a metterci sempre un qualcosa in più che fa si che il quadro sia ben visibile…comprensibile? Buona giornata cri
next time, ti tocca 🙂
Ah, quanto mi piaceva la sbira, intendo la "povera". Ho lavorato a Genova per piu' di un anno perche' eseguivo la programmazione del primo calcolatore elettronico, di quelli che occupavano uno stanzone, alla CULMV. A mensa, dai camalli (principalmente da barilai e cassai) ho ricevuto una prima e buona educazione sulla sbira, con anche indicazioni (molte e dibattute) di dove andare a mangiarla. Alla fine mi ero orientato su una trattoria a Sanpierdarena, sempre frequentata dai giocatori della Sampdoria, dove ero diventato cliente fisso. Tanto che alla sera il cameriere nemmeno si fermava al mio tavolo e passando mi diceva: Sbira?
Ero molto piu' giovane, allora. Nostalgia…..
credo che ci sia ancora, quella trattoria. Di certo, ha ripreso vigore la tripperia di vico Casana, che è rimasta tal quale e oggi è anche nel giro delle botteghe storiche.. e comunque, mi immagino la gioia dei camalli, nel poter iniziare un foresto ai piaceri della loro cucina vera… trovare un intenditore ai piani alti era difficilissimo, specialmente qualche decennio fa, quando ci si ingozzava di hamburger e patatine fritte… ora, per fortuna, si sta tornando all'antico, anche se non so se arriveremo mai al brodo di trippa al posto del cappuccino 😉 lato negativo: 11 euro al kg…
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