… ovvero la passione di Federico II di Svevia per la Cucina
La storia e il destino di un re, o meglio di un imperatore, qualche volta è così strettamente unita ad un luogo, ad una terra, da legare a lei il suo stesso nome e da lasciarle grandi vestigia del suo passaggio e del suo amore: è questo il forte connubio che lega Federico II di Svevia, il celebre nipote del Barbarossa, con la splendida terra di Puglia.
Federico, il Puer Apuliae (il giovanetto di Puglia) nato nelle marche, orfano in giovanissima età di entrambi i nobili genitori, affidato dalla madre in punto di morte ad un papa, Innocenzo III, scatenò fin da subito intorno a se interessi e vasti intrighi per il potere. Uomo di grande ingegno, non fece mai mistero della sua attrazione per il ricco ed esotico mondo arabo: le sue trattative con il sultano d’Egitto, che Federico preferì ad uno scontro diretto durante la Crociata da lui organizzata e le discussioni filosofiche e scientifiche con la dotta corte di quest’ultimo, furono motivo di fortissimi attacchi alla sua persona. Considerato da alcuni uomo di grande fede1, da altri l’Anticristo2 traghettò la sua corte, attraverso discussioni e scontri anche violenti, verso una pacifica e proficua convivenza d’influenze arabe, greco-latine e normanne, tutte presenti nel suo mondo, per nascita o per storia.
Così, lo Stupor Mundi, il progettista del Castello del Monte, il forgiatore di Foggia (è rimasta a testimoniarlo la scritta “Ciò comandò Federico Cesare che fossa fatto affinché la città di Foggia divenisse reale e inclita sede imperiale. A.D. 1223”), colui che Dante cita nel X canto dell’inferno, tra coloro che sono epicurei e che negano l’immortalità dell’anima (pur essendo un grande estimatore dell’uomo), rimane agli occhi dei suoi coevi sospeso tra la nomea di rinnovatore, fedele cristiano, rispettoso della chiesa e quella di edonista, epicureo, gaudente, spregiatore di Dio, scomunicato per ben due volte.
Federico II fondò l’Università di Napoli (la prima statale dell’occidente, a lui intitolata) così come diede il suo appoggio al movimento della Scuola Poetica Siciliana e si circondò di personalità eminenti della cultura, matematici, poeti, linguisti, architetti, che proteggeva, Mecenate del suo tempo e con i quali condivideva la passione per il sapere.
Scrittore e studioso egli stesso, amante della caccia con il falcone, su cui scrisse un trattato, con passione per l’architettura, fece erigere nella sua amatissima Puglia, grandi e
celebri castelli, dove amava trattenersi per cacciare e godere delle sue bellezze. Gli si attribuisce questa descrizione: “…se il signore avesse conosciuto questa piana di Puglia , luce dei miei occhi, si sarebbe fermato a vivere qui”
Le sue capacità di filtrare ed amalgamare culture diverse non si sono però limitate alle arti o alle scienze, ma hanno sconfinato in un’altra delle passioni di questo re, amante della bellezza e della vita raffinata e brillante: la cucina. Sulla sua tavola non mancavano frutti colorati e verdure provenienti da ogni angolo del suo regno, cacciagione, che spesso egli stesso procurava, pesci, biscotti, pane, frittelle.
Amava in particolare tra gli altri piatti il biancomangiare di pollo, ed era goloso di scapece, in particolare quella Gallipolina, il foglieammischiate, un insieme di cotenna e verdure miste e le frittelle imperiali con formaggio di mucca, chiara d’uovo, farina pinoli ed uva passa.
Raffinato buongustaio, non disdegnava di firmare le ricette che desiderava assaggiare (“caules secundum usum imperatoris” o “le frittelle dell’Imperatore”) e non è un caso che proprio alla sua corte, oltre ad opere d’arte di ogni genere e trattati di grande spessore culturale e sociale, ne sia nato anche uno che è rimasto testo fondamentale per la cucina europea, il De Coquina.3
Anche in quest’occasione Federico ebbe un’accoglienza “doppia”: venne, infatti, accusato, a causa della sua attenzione per la salute nel presentare e apprezzare le ricette, di essere un cattivo cristiano, poiché la rinuncia al cibo non era fatta per conquistare un posto in paradiso, bensì per vivere meglio sulla terra!
Di questo libro, di cui sono state redatte due versioni, la prima persa, colpisce l’impostazione innovativa, molto rigorosa, dove, alle ricette tradizionalmente ricche, si affiancano quelle adatte alle persone ammalate e quelle dedicate alle verdure, forse pensata anche per prendere le distanze sia dall’opulenta cucina araba, che da quella greca, o quella romana di Apicio, comunque presenti ma “rivisitate”, come diremmo oggi, per avvicinarsi maggiormente al gusto occidentale.
La suddivisione in cinque capitoli all’interno del libro è quasi scientifica e classificata secondo gli ingredienti: verdure, carne, uova e latte, pesci e cibi composti. Le carni nel De Coquina sono preparate senza ricorrere eccessivamente alla frollatura, ma fresche e quindi accompagnate da erbe aromatiche più delicate, come il basilico, il timo, la salvia o la menta, che poco si prestavano alle carni molto frollate e dal sapore troppo intenso, fino ad allora portate in tavola.
La passione per l’oriente colto, raffinato e sensuale. aveva spinto l’Imperatore ad importare ricette ed ingredienti da questi magnifici luoghi. Dalle spezie più profumate, alle verdure e cereali più esotici, tutto arrivò nelle sue terre e moltissime nuove coltivazioni vennero introdotte o potenziate, specialmente in sicilia ed in puglia: tra queste cetrioli, melanzane, zucchine, cavolfiori, spinaci, asparagi, porri e rape, e perfino un particolare tipo di fagiolo nero, già presente nell’isola dal X secolo. Di questi ingredienti, i cuochi della corte di Federico seppero fare ottimo uso, sempre attingendo a piene mani da tradizioni straniere, in particolare l’Araba, come già accennato, modificandole e utilizzando, per esempio, in maniera più decisa il maiale e i grassi come lardo e strutto al posto del grasso di coda di montone, o utilizzando il vino nelle salse,o ancora semplificando alcune tecniche di cottura.
Alla sua tavola sedevano re e principi di tutta Europa, al ritorno dalle crociate o semplicemente in visita ad un sovrano potente e così, parecchie ricette preparate dai suoi cuochi, rielaborando preparazioni orientali, giunsero anche nel nord d’Italia e d’Europa ed in particolare in Inghilterra ed in Germania. Mentre però, nei ricettari di tali nazioni i piatti mantenevano il nome della nazione o del paese orientale di provenienza, nel De Coquina questi spariscono e sono sostituiti da nomi di luoghi d’Italia o d’Europa, proprio per porre l’accento sul fatto che i piatti descritti appartengono ormai completamente alla tradizione Europea e per svincolarli definitivamente dalle origini.
La cucina tardo medioevale racchiusa nel De Coquina, tenderà a sparire, con il tempo, dalle mense della parte più ricca della popolazione d’Europa; ma, come spesso accade, non potrà essere eliminata del tutto e sopravviverà sulle tavole del popolo, in particolare nelle antichissime tradizioni delle cucine regionali italiane e non, che hanno mantenuto in auge fino ai giorni nostri, tra le altre ricette, lo scapece, la mostarda di Cremona, la genovese, il marzapane, i confetti, i canditi, le pie e i biancomangiare inglesi.
Buona giornata a tutti
Dani
1“…la bestia che sorge dal mare carica di nomi blasfemi, e infuriando con la zampa dell’orso e le fauci del leone, informata nelle restanti membra a guisa di leopardo spalanca la bocca ad offesa del Santo Nome senza cessare di scagliare la stessa lancia sul tabernacolo di Dio e Sui Santi che abitano nei cieli…” Gregorio IX in una lettera enciclica del 21 giugno su Federico II
«…il fariseo assiso sulla cattedra di un dogma perverso, unto con l’olio della malvagità […]. Noi sosteniamo che è lui quel mostro di cui si legge». Federico II in risposta su Gregorio IX
2 “il salvatore inviato da Dio, il principe della pace, il messia-imperatore” . Pier delle Vigne su Federico II
3 Esiste anche, circa questo libro, una linea di pensiero che lo vuole opera di un anonimo presente presso la corte di Napoli di Carlo II D’Angiò tra il 1285 e il 1309. Io, ho dato invece credito alla tesi di Anna Martellotti, autrice, tra gli altri, del libro: I ricettari di Federico II. Dal “Meridionale” al “Liber de Coquina”, Olschki, 2010.
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