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Se questa fosse una favola classica, come quelle che ci raccontavano le nostre mamme, quando eravamo piccine, inizierebbe con “c’era una volta un panino morbido e bruciacchiato, che si chiamava English Muffin“
Se invece fosse una stora di quelle che mi toccava raccontare a mia figlia, nata e cresciuta nell’epoca di quegli orribili mostri giapponesi – da cui il soprannome di RomPikachu, che si è portata dietro per tutta l’infanzia- basterebbe dire che i Muffins altro non sono che l’evoluzione dei loro cugini britannici, e saremmo già arrivati alla fine.
Invece, siccome siamo all’mtchallenge, ci meritiamo qualcosa di più, a cominciare da una scorsa veloce ai primi ricettari in cui appaiono queste preparazioni che, almeno in origine, erano del tutto simili ai loro progenitori britannici. Anche se le analogie fra la cucina della madrepatria e quella degli Stati Uniti non sono così automatiche come si sarebbe propensi a pensare, la notizia non sorprende più di tanto.
Quello che semmai desta stupore è che negli stessi ricettari (che si collocano tutti verso la fine del XIX secolo), accanto ai panini cotti in padella appaiono “muffins” che vengono cotti in piccoli stampi da torte, sono più dolci dei precedenti e, spesso, sono arricchiti da frutta secca, spezie e noci. Non a caso, l’American Regional English Dictionary, nell’edizione del 1879 definisce i muffins una “small cake” e, nello stesso periodo, il manuale per la casalinga perfetta su cui le giovani di buona famiglia della Virgina del Sud affinavano le arti per accalappiare il Burtlett di turno, riporta la seguente ricetta: preparate una pound cake (il nostro 4/4) e fatelo cuocere in stampi monoporzione, in modo che prendano la forma di questi ultimi”.
fino agli anni ’80 del secolo scorso, preparare i muffins era un’occupazione domestica, quasi routinaria: la fantasia delle casalinghe americane contemplava l’utilizzo di diversi tipi di farina, l’inserimento del cacao, di frutta fresca o secca, di pezzetti di cioccolato, ma senza esagerare: un ricettario edito subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, Joy of cooking di Irma Rombauer, annovera “solo” 19 ricette, per dire. Ma fu solo con l’introduzione dei pirottini in carta (negli anni ’50) e con la commercializzazione dei muffins nei supermercati e nei caffè, accanto alle ciambelle, che questi dolcetti iniziarono ad usicre dalle quattro mura delle cucine a stelle e a strisce, per diventare un prodotto di più largo consumo: quando poi, nei due decenni successivi, l’occupazione delle donne fuori di casa divenne la regola e non l’eccezione, ecco che si moltiplicarono anche le tavole calde, i caffé, i ristoranti dove era possibile consumare una colazione o un pasto veloce e in cui i muffins costituivano una costante.
Non solo: i progressivi appelli al mangiar sano decretarono una sempre maggiore preferenza per questi dolci, cotti al forno e non fritti, compatibili con l’utilizzo di prodotti non dannosi per la salute e poco calorici, a discapito delle ciambelle e delle cupcakes.
il resto è storia recente: i ricettari americani dedicati solo a questo dolcetto non si contano più e, naturalmente, le 19 ricette di mrs Rombauer impallidiscono, di fronte alle cifre a tre zeri che si contendono, a colpi d mercato, i primi posti delle classifiche editoriali. Non c’è locale che non li venda, non c’è Americano che se ne astenga: anzi, tre Stati hanno addirittura scelto i Muffins come loro simbolo (il Blueberry Muffins per il Minnesota, il corn muffins per il Massachussets, l’apple muffins per lo Stato di New York): si tratta di “acquisizioni recenti”, verso la fine degli anni Ottanta, che confermano quanto detto poc’anzi – e cioè, che di moda recente, si tratta.
Recente, ma dilagante, visto che da una ventina d’anni li abbiamo adottati pure noi, e con la stessa soddisfazione d’oltre Oceano: non siamo ancora al largo consumo, ma è sempre più facile trovarli negli espositori dei bar, accanto alle nostre brioches e ai croissant.
E qualcosa mi dice che dopo questa sfida, ne troveremo qualcuno in più…
12 comments
Che vi devo dire??io la stori dei muffin non la consocevo e …. quindi grazie MTC di esistere!
Nulla di nuovo sotto il sole, basta documentarsi e si conosce la storia dei muffins, la conoscenza non è monopolio di nessuno edè a disposizione di tutti, o no? Francesca
difatti, siamo qui per questo. per metterla a disposizione di chi non ha tempo o mezzi per documentarsi.
Di nuovo, sotto il sole, c'è solo la tua maleducazione.
E purtroppo "Francesca" non ha neppure il monopolio dell'ignoranza, dell'invidia, della falsità, della piccineria, della cattiveria e della meschinità. Come dire che non riesce a primeggiare neppure in questo.
Manca ancora un solo ricettario, quello made in Mtc!
Non sapete che sollievo scoprire che "l'American Regional English Dictionary, nell'edizione del 1879 definisce i muffins una "small cake": io spesso faccio l'impasto di una comune torta e poi "nel segreto delle mura della mia cucina" la cucino in m"mini-porzioni" negli stampini per i muffins!!! Alle mie bimbe, sarà per i pirottini o per la dimensione, i muffins piacciono sempre e "cuore di mamma" cerca sempre di farle felici 😀
Grazie per questi tuoi post sempre cosi esaurienti! che belle storie 🙂
secondo me al largo consumo ci siamo già…. al banco forneria della coop ci sono sempre, e poi ci sono pure i muffin di Mr. Day. e pure quelli senza glutine.
praticamente un'invasione…
Sempre interessantissimi i tuoi post! mi piace moltissimo scoprire la storia dietro una ricetta e le sue origni! grazie Ale
Bellissima fiaba…!
E dopo questa sfida avremo una ricetta di muffin al giorno da sperimentare e proporre ad amici e parenti! 😉
Dopo questa sfida altro che 300 muffins!!
Come al solito illuminante….grazie
Questo è un capitolo di storia culinaria che ci mancava; meno male che hai provveduto tu a scriverlo! 🙂
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