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di Elisa Dondi
Eccomi alla prima prova con la sfida! Innanzitutto l’emozione mi fa tremare le mani e decido quindi di giocare in casa. La mia città mi offre l’ispirazione, come sovente del resto, e vi presento gli s’gu’azabarbùz, un piatto che ritrovo nei ricettari delle mie nonne che lo destinavano ad un pranzo della settimana. E’ una minestra semplice, con pochi ingredienti, di facile realizzazione, ma di grande sapore! I fagioli sono i protagonisti della cucina contadina e comune dei ferraresi da tempo immemore fino agli anni Sessanta del 1900, i vecchi narrano come i fagioli fossero nel piatto da un lunedì fino al successivo e via di nuovo. D’altronde rappresentavano un alimento sano, nutriente e di poca spesa. La “carne dei poveri”, si diceva, ed i miei avi non erano di certo ricchi! Occorre riconoscere però che la sapienza contadina portava sulla tavola, seppure per necessità, un prodotto ottimo dal punto di vista nutrizionale, non sempre possiamo dirlo della nostra sapienza di moderni istruiti!
La storia ci racconta che il buon vecchio Messisbugo, scalco degli Estensi, preparasse dei finti fagioli di marzapane per decorare la tavola di corte del 1500, per offrire dei fagioli “ricchi” ai commensali!
A proposito di storia, gli s’gu’azabarbùz ritrovano le proprie origini in un passato molto remoto. Varie città se ne contendono la paternità anche con nomi leggermente diversi, tuttavia il campanilismo mi porta a presentarveli come ferraresi naturalmente! Bologna, Modena e Ferrara si contendono l’invenzione delle tagliatelle. Cronache mai smentite narrano che il 29 maggio 1503 giunse a Ferrara Lucrezia Borgia per sposare Alfonso I d’Este (figlio del duca Ercole I d’Este) e lo scalco di corte Messisbugo, ispirandosi a quei riccioli dorati creò le tagliatelle. La pasta viene tagliata in strisce irregolari e prende il nome di “maltagliati”, viene cotta in brodo di fagioli ed il piatto prende il nome di s’gu’azabarbùz, in dialetto ferrarese per dire “bagna mento”.
La ricetta delle mie nonne è quella che segue.
Ingredienti per 4/6 persone:
- 300 gr. Fagioli borlotti bio
- 5 cm alga kombu (sconosciuta alle mie nonne e pure a Messisbugo!)
- Per il soffritto: 1 carota piccola, un pezzetto di sedano, 1 cipolla piccola, 1 cucchiaio di lardo a cubettini (o gambuccio di prosciutto tritato fine)
- 200 gr. Passata di pomodoro
- Per la sfoglia: 2 uova, 200 gr. Farina 00
Mettere a bagno per una notte i fagioli in acqua fredda.
L’indomani metterli in una pentola di acqua fredda a lessare con un pezzetto di alga kombu per circa
un’ora. L’aggiunta dell’alga kombu rappresenta l’innovazione applicata alla tradizione, per rendere i legumi più digeribili. Aggiungere il sale solo quando mancano circa 15 minuti di cottura.
Preparare una sfoglia con uova e farina, tirarla col matterello e tagliare delle strisce irregolari: i maltagliati appunto (spesso sono i ritagli avanzati dalla preparazione della sfoglia per la pasta ripiena come cappelletti).
In un tegame di terracotta, fare un soffritto con cipolla, carota e sedano e il lardo, se si gradisce. Fare
attenzione a non fargli prendere troppo colore, perché risulterebbe amaro. Dopo una cottura dolce per una decina di minuti, aggiungere la passata di pomodoro, un mestolo di acqua di cottura dei fagioli e una manciata di fagioli lessati ancora interi.
Passare i fagioli con il pestello di legno in un colino per trattenere le bucce. Il pestello ed il colino (una versione arcaica di un moderno chinoix in alluminio) appartenevano alla mia nonna materna ed ho il preciso ricordo di quando mi insegnò ad usarli, facendomi notare quanto fosse necessario tenere il fondo del colino immerso nel liquido che mano a mano scendeva per rendere l’operazione più efficace.
A questo punto, unire il passato di fagioli nel tegame di terracotta, lasciare insaporire ed unire poi la pasta fresca che in pochi minuti si cuoce. Servire con un filo di olio extravergine di oliva (pure questo sconosciuto alle mie nonne ed a Messisbugo!)
Varianti sul tema: in estate si serve a temperatura ambiente ed è ugualmente buono.
Nella versione piatto unico, ma veramente unico, aggiungo una fetta di pane abbrustolito e qualche
vongola di Goro fatta aprire velocemente in padella con olio, aglio e prezzemolo. E’ sicuramente una licenza poetica contemporanea che tuttavia trova golosi estimatori nella mia famiglia!
Fonti: i ricettari di casa
Christofaro di Messisbugo, Libro novo nel qual s’insegna a far d’ogni sorte di vivanda
AA. VV., Cucina e folclore ferrarese
6 comments
ho questa zuppa negli occhi dal primo momento in cui l'ho vista nella posta dell'MTC. e chiedo venia alle ricette che stanno ancora aspettando di essere commentate, perchè il timore di non riuscire a passare di qui è troppo forte per importmi disciplina: ma un miglior biglietto da visita non poteva davvero esserci, Elisa: perchè non solo ci hai regalato una ricetta splendida, ma hai anche centrato in pieno il tema della sfida, inserendo la tua zuppa in quesl filone di minestre dimenticate a cui avremmo voluto che si attingesse a piene mani. Non sai quanto sia felice di averti all'mtc! grazie davvero!
che bello leggere questa storia, questa sfida ci ha dato uno spaccato del nostro paese che farebbe invidia a chiunque.
La tua ricetta la apprezzo in modo particolare, io amo la semplice pasta e fagioli, quella bella cremosa, la tua insomma 😀
davvero gustosa… si sente tutto il sapore delle ricette antiche! complimenti per il debutto! un bacio!
Una sola parola: affascinante.
Storia e tradizioni di famiglia distillate in un piatto perfetto antico e pur modernissimo.
Questa immagino una zuppetta molto gustosa, anche se con l'aggiunta delle alghe, non l'ho mai mangiata, ma se avesse l'occasione, non mi tirerei indietro. Buon fine settimana !
Splendore. Tu, il post, la ricerca storica e la zuppa stessa. Malgrado il lardo, ecco. 😛 Io sono tanto orgogliosa dei miei "pupilli" beniamini del MTC. Grazie della condivisione delle ricette della tua zona, a me completamente sconosciute.
Ele
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