Gli otto segreti dell’apparecchiatura di classe rubati ad una tavola di Natale del ‘700
Insieme a mille altri sfizi, quelli che ci rendono piacevole il periodo di preparazione alle feste, stiamo cominciando a pensare anche alla tavola del Natale. Quello per l’apparecchiatura speciale, la tovaglia elegante, il bel servizio di piatti o di bicchieri è un gusto che nasce da una tradizione lunga secoli. Tra qualche giorno parleremo in MTC di come apparecchiare una tavola delle feste di gusto basandoci su semplici regole di base, contemporanee ma derivate da quelle classiche… e prima vale la pena di capire cosa avesse importanza nell’epoca in cui dette regole sono nate.
Per farlo analizziamo una tavola di Natale d’autentica epoca, ricostruita appositamente per noi dalla Galleria Altomani & Sons, prestigiosa galleria di arte antica in Milano e Pesaro che ha messo a disposizione dell’MTC nientepopodimeno che… la vetrina natalizia di Montenapoleone! Teniamo dunque a mente tutti i deliziosi segreti che emergono da questo allestimento: quando si tratterà di apparecchiare la nostra tavola di casa saremo consapevoli e felici di poterlo fare basandoci su qualche piccolo trucco imparato dalla storia!
L’ispirazione è settecentesca e parte da un prezioso servizio di maioliche con decoro alla frutta barocca della Manifattura di Bassano, origine 1760 circa, apice del lusso veneziano dell’epoca. La accompagna un menù tratto da libri di cucina pubblicati tra il 1692 ed il 1790, mentre occhieggia verso la tavola il ritratto di Agostino Gallo, primo agronomo italiano e nel ‘500 padre della coltivazione di riso e mais nel Nord Italia. Primo consiglio deducibile: le vivande parlano di noi… ma se le accordiamo sentimentalmente a tavola e ambiente per storia, per luogo o per atmosfera, il loro racconto arriverà molto meglio.
Il menù, studiato ad hoc, segue l’ordine di servizio di un banchetto conviviale da aristocrazia veneta, “riduzione” di quella serie infinita di servizi (gruppi di portate) delle tavole nobili rinascimentali e barocche cui nel Settecento si faceva riferimento per pranzi con ospiti di riguardo.
Dell’epoca precedente sono eredità la punta dolce in alcuni piatti salati e la chiusura con finocchio, di epoca settecentesca è caratteristico l’itinerario gastronomico internazionale, nel tipico uso del tempo; del vecchio corso è l’utilizzo di ingredienti rari e lussuosi, del nuovo la presenza anche di prodotti più semplici o di nuova “scoperta”. Si pasteggia a vini importanti, tra cui uno Champagne d’annata, o, detto alla settecentesca, una Sciampagna! Secondo consiglio deducibile: se organizziamo il menù miscelando certezze ed azzardi in modo equilibrato e consapevole il convivio sarà armonioso nei suoi gusti e nei suoi tempi, senza stonature.
Ovviamente ogni portata ha bisogno di essere servita in tavola e poi consumata in un “contenitore” che ne esalti le caratteristiche: vassoi o zuppiere, piatti o fondine, tutto deve essere proporzionato al contenuto per poterne valorizzare forma, dimensione, temperatura e profumo, prima che il commensale arrivi a scoprirne il sapore. In epoca precedente, oltre ai trionfi dei materiali più preziosi, dall’argento allo zucchero, che ornavano la tavola, le portate stesse erano presentate in modo molto decorato, o per celebrare un ingrediente importante (penso ai manzi arrostiti interi) o per ingannare l’occhio camuffando il cibo per creare sorpresa (ad esempio i capponi con copertoro di zuccaro e tocco d’oro del matrimonio tra Cosimo II Medici e Maddalena d’Austria del 1608).
Oggi siamo più abituati a servire direttamente ai convitati le porzioni individuali ma, terzo consiglio deducibile: senza arrivare agli eccessi di ‘500 e ‘600, se nel servire mettiamo almeno la stessa cura che raccontano le stoviglie di questa tavola del ‘700, la presentazione sul piatto da portata o l’atto di levare il coperchio ad una misteriosa zuppiera diventano “nuovi” rituali che destano oggi stupore e rendono speciale il pranzo anche con un menù più semplice di questo.
Nei banchetti importanti, ancora nel Settecento si pranzava circondati da credenze, ovvero esposizioni di piatti, vetri e vasellame, fragili e preziose testimonianze della ricchezza del padrone di casa. Inoltre si ricopriva il tavolo con tovaglie in cui le piegature erano accuratamente evidenziate, a esaltare la raffinatezza del tessuto e l’arte di saper ottenere un decoro attraverso una quadrettatura minuta e regolare. Anche i tovaglioli venivano piegati in forme artistiche e utilizzati come ulteriore decorazione di tavola e credenza, riservando poi all’uso pratico una serie di salviette “lisce” che venivano sostituite ad ogni portata.
Ora si preferiscono tovaglie ben stirate o runner che lascino vedere il piano, e tovaglioli piegati semplicemente, altrimenti ci si sente subito in un ristorante cinese. Peccato: il quarto consiglio deducibile è di investire un poco di tempo sia nel selezionare i tessuti destinati alla tavola che nel piegare con cura i tovaglioli, in modo semplice ma originale, magari investendoli anche del ruolo di morbido segnaposto.
Ed arriva qui anche il quinto consiglio deducibile: ovvio che non ha più senso una mostra infinita di oggetti da tavola in sala da pranzo, ma ricordiamo sempre almeno un tocco che coinvolga il resto dell’ambiente in una relazione con il convivio che in questo spazio ha luogo. Ad esempio su un mobile della stanza si può disporre un grande mazzo di fiori che riprenda la piccola composizione che fa da centrotavola, oppure un paio di soprammobili che citino le tinte del tovagliato, o anche un’alzata di frutta dal mood simile a quello dell’apparecchiatura… A Natale magari pensiamo a “personalizzare” l’ambiente: perché non farlo anche in altre occasioni?
Il sesto consiglio deducibile deriva dalla storia delle credenze: senza ostentare più di tanto, se l’occasione è speciale facciamo in modo che lo si possa percepire anche attraverso qualche dettaglio prezioso che di solito non appare. Basta, nella nostra epoca, anche un piccolo tocco tipo una musica adeguata in sottofondo, una bella brocca di cristallo per l’acqua, un segnaposto molto personale per ogni ospite, dei guanti bianchi se c’è una persona di servizio. In questo caso il più grande ed importante dei piatti da portata lasciato libero, a far bella mostra di sé, da solo, su un tavolino antico a citazione estemporanea dell’antica credenza.
La nostra tavola a tema settecentesco, in questo senso, prende una grande importanza dall’antico servizio di Bassano. Si potevano a questo punto imboccare due strade: la citazione totale dell’epoca, con importanti posate d’argento e calici di Murano lavorati, in un filone storico dove l’opulenza barocca lasciava spazio al dettaglio di oggetti settecenteschi più “discreti” ma sempre molto preziosi per materiale e lavorazione, oppure valorizzare le già ricche maioliche collocandole in un contesto contemporaneo, che le esaltasse con una sua apparente neutralità.
Per una tavola che racconta oggi i propri segreti la scelta è d’istinto la seconda. E questo è il settimo consiglio deducibile: se hai qualcosa di veramente prezioso lasciagli “spazio” e rendilo protagonista giocando in modo molto più discreto con il resto. Puoi scegliere la provocazione di accostamenti azzardati, oppure l’esasperazione del moderno a contrasto, o anche usare il protagonista in modo inconsueto e circondarlo di comprimari quasi diafani… qualsiasi sia la scelta basta che sia “pensata” e che il risultato faccia spiccare in modo naturale la preziosa presenza dell’”oggetto speciale”.
Ecco perché, sotto gli occhi compiaciuti di Agostino Gallo, uno che già nel ‘500 di innovazione se ne intendeva parecchio, per esaltare delle stoviglie antiche, dipinte a mano pezzo per pezzo con soggetti tutti diversi, utilizziamo questo ultimo trucco. Così piatti tondi da portata sono usati per pranzare, un piatto piano funge da sottobottiglia, una zuppiera diventa un vaso da fiori ad accogliere una spettinata composizione di rami di pino e bacche di rosa canina: ogni pezzo, insomma, viene messo nel massimo rilievo anche con un uso non convenzionale.
Nel filone del “neutro” molto curato, poi, posiamo le stoviglie su una serie di tovaglie come allora, coi segni delle piegature come allora per quelle inferiori. Ma mentre lì erano solitamente tutte in lino bianco, da levare una per una a mano a mano che si sporcavano, qui si gioca con diversi toni chiari e con tessuti differenti, tutti visibili e tutti che rimangono: la tovaglia di base è lino antico, bella tesa; la seconda super-contemporanea con filo d’oro intessuto drappeggiata; la terza, quella più a vista, è avorio chiarissimo, operata a rilievo, per resare “locali” di tessitura trentina.
I tovaglioli portano lo stacco di una ricca fiandra giallo oro, ad esaltare il giallo delicato presente nei decori delle maioliche, e sono accostati ai piatti in modo inconsueto ma semplice, con il tocco natalizio di qualche bacca rosata. Anche le posate, tutte d’argento ma volutamente diverse tra loro, citano epoche differenti, mentre i bicchieri sono di produzione contemporanea, miscelano vari stili e in parte riprendono ironicamente decori dei vetri veneziani antichi, usando trasparenze e tocchi di colore per sottolineare la “disordinata armonia” del tutto.
Completa infine la tavola, diversamente da come si sarebbe fatto in una casa nobile del ‘700, l’elenco scritto delle vivande: è un tocco fuori epoca, ma ce lo possiamo permettere perché ora sappiamo di sicuro che il padrone di casa sa scrivere ed i commensali leggere! E’ abbandonato, come per caso, su un lato della tavola per un effetto “post-barocco” assicurato e non è scritto di nostro pugno: il computer sarà irriverente ma sa riprodurre meglio di una mano moderna la grafia svolazzante di trecento anni fa!
E da questa ultima aggiunta deriva l‘ottavo, ultimo consiglio deducibile, forse quello che vale più di tutti: in un pranzo speciale, come abbiamo visto, nessun particolare è un dettaglio, ma ricordiamoci che il primo “particolare” che dobbiamo saper curare è l’allegra serenità del convivio. I consigli sono otto, numero simbolo della rinascita: chissà che seguendo questi spunti antichi il Natale 2017 a tavola non vi sembri un po’ più nuovo!
Annalena De Bortoli
Ringrazio per la preziosa consulenza l’inarrivabile signora Annamaria Altomani di Altomani & Sons, via Baviera 18, Pesaro
Ringrazio per le maioliche di Bassano e la location (e per il Dom Perignon del 1947!) il dott. Andrea Ciaroni di Altomani & Sons, via Borgospesso 14, Milano
Ringrazio per i calici a tulipano color ambra Vetrerie di Empoli, via Montenapoleone 22, Milano
Le fotografie di apertura, della vetrina, della tavola vista dall’alto e del posto tavola con Madonna e Bambino sullo sfondo sono di Aldo Stefanni
La penultima foto, quella dei bicchieri, è un omaggio in alto a sinistra.
Bibliografia:
Emilio Faccioli (cura), L’arte della cucina in Italia. Libri e ricette e trattati sulla civiltà della tavola dal XIV al XIX secolo, Torino, Einaudi, 1987, ISBN 88-06-59880-5
Maria Attilia Fabbri Dall’Oglio, Il trionfo dell’effimero. Lo sfarzo e il lusso dei banchetti nella cornice fastosa della Roma barocca. Viaggio nell’evoluzione del gusto e della tavola nell’Italia fra Sei e Settecento, Roma, Ricciardi & Associati, 2002, ISBN 88-87525-03-X
Maria Attilia Fabbri Dall’Oglio, Alessandro Fortis, Il gastronomo errante Giacomo Casanova. Tra gamberi e pernici a tavola con il Cavaliere di Seingalt, Roma, Ricciardi & Associati, 1998
7 comments
Soltanto adesso sono riuscita a ritagliarmi il tempo e la tranquillità necessari per leggere questa meraviglia di articolo.
Complimenti Annalena!!!
Bellissimo post, di quelli da conservare gelosamente e da pittrice su porcellana non ho potuto che restare incantata per le maioliche. Grazie!
Annalena sono senza parole…sei sempre una miniera di cultura! interessante e sorprendente, come il tuo solito 🙂
Meravglioso
un post più bello dell’altro, che meraviglioso avvento!
Grazie. Doc sempre con noi.
;-*
Questo post è un vero gioiello. Grazie Annalena.
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