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JAPANESE HOME COOKING di MAORI MUROTA

by Alessandra

Se dovessi fare un elenco delle cucine del mondo che preferisco, quella giapponese non si troverebbe nei primi dieci posti. Forse neppure nei primi 20, ad essere sincera: non impazzisco per il Ramen, ordino solo un tipo di sushi, alla tempura preferisco il fritto nostrano, piú saporito e croccante e le varianti regionali, anziché intrigarmi mi atterriscono . Inoltre, la permanenza in Asia mi ha convinta dell’impossibilità di riprodurre in casa gli stessi sapori dei ristoranti o di food court e questo a dispetto di tanti corsi fatti. O i tempi sono troppo lunghi o i sapori sono troppo distanti dagli originali, per tacer della irreperibilità degli ingredienti e, buon ultimo, dei loro costi. A farla breve- udite udite- non possiedo praticamente libri sull’argomento e neppure ne sento la mancanza.

E allora, che cosa ci fa questo libro, a #Cook_my_Books?

Stavolta, la “colpa” é tutta delle nostre amiche che, non paghe di aver cucinato praticamente la qualunque, hanno voluto sollevare lo sguardo verso il Paese del Sol Levante, spinte dalla bramosia di cimentarsi anche con i piatti di questa tradizione. E vuoi non assecondarle, una volta tanto? dopo che da oltre due anni danno un senso alle mie ossessioni 🙂 e ci regalano meraviglie su meraviglie?

E dunque, eccovi il libro della settimana, pescato a caso fra quelli di Amazon che promettevano bene e, soprattutto, che proponevano una cucina casalinga, quella che piú ricerchiamo, piú pratichiamo e piú amiamo, a qualsiasi latitudine si trovi.


GYOZA

di Vittoria Traversa

Quando ieri dichiaravo tutta la mia blanda indifferenza per la cucina giapponese, ho dimenticato di dire che, a fronte della mia apatia, marito e figlia sono entusiasti ammiratori di ogni aspetto della cultura di questo Paese.

Mio marito ne aveva addirittura studiato la lingua, a coronamento di una collezione di preziosissimi manga e il film preferito di mia figlia resta La Città Incantata, tanto per citare gli esempi più eclatanti di un tifo appassionato per il Giappone che, come ripeto, mi trova poco partecipe, con qualche rara eccezione.

La prima ve la presento proprio ora, e sono i famosi Gyoza (la pronuncia corretta dovrebbe essere “Ghiosa”, con la o stretta, ma qui in UK correggono sempre in “Ghaiosa”), i ravioli giapponesi brasati in padella, dal lieve sentore di aglio. Rispetto ai loro antenati cinesi, hanno un involucro più spesso, un ripieno più saporito e, come dicevo, un tipo di cottura che ne accresce la sapidità. A differenza dei vari cugini, insomma, in cui l’involucro é spesso un pretesto per racchiudere il ripieno, nei Gyoza la sfoglia ha un ruolo di tutto rispetto, dal punto di vista tanto del sapore quanto della consistenza.

Se, come me, li trovate irresistibili, con la ricetta che vi proponiamo potrete anche prepararli a casa, in pochi passaggi. E scommetto che saranno buoni come quelli del ristorante. Se non addirittura di più.

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MAIALE STUFATO

di Manuela Valentini

A differenza del marito che, come vi dicevo ieri, ha studiato giapponese e qualcosina si ricorda, io ho il kit di sopravvivenza da menu: tempura fa rima con frittura, “miso”, nel vocabolario del palato, significa sapido e, su tutto, se inizia per “ton” é maiale.

E il maiale é un altro grande protagonista della cucina nipponica, tanto da risultare presente non solo nelle portate principali, ma anche nelle zuppe: la piú famosa é il tonjiru, a cui si affiancano varianti come il ton no kakuni, la ricetta di oggi, in cui la pancia del maiale viene stufata in un brodo aromatico, arricchito poi con uova semi-sode. La novità di questa ricetta, però, é la doppia bollitura della carne: in un brodo leggerissimo, prima, e in un altro molto piú ricco, poi. Un trucco, ci dice l’autrice, che rende il maiale piú permeabile ai sapori e quindi piú gustoso e saporito. E se poi voleste consumarlo il giorno dopo, sarà ancora piú buono!

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TONKATSU

di Giuliana Fabris

Vi é mai capitato di invitare ad un ristorante non italiano qualcuno che non ha ancora dimestichezza con la cucina che gli state proponendo? Se sì, già sapete che cosa intendo: di fronte alla di solito vastissima proposta del menu, la scelta cadrà inevitabilmente sui piatti piú vicini ai gusti occidentali, dal riso alla Cantonese all’hummus al pollo-al-curry-mi-raccomando-non-speziato.

Al ristorante giapponese, dunque, dovreste ordinare un Tonkatsu che altro non é che la versione nipponica della nostra cotoletta: di maiale, anziché di vitello, con il Panko, invece del pangrattato ma, per il resto, siamo lì. Non a caso, é uno dei piatti della vera cucina domestica giapponese, visto che latitudine che vai, casalinga disperata che trovi e il sollievo di pietanze veloci da preparare e che tutti mangino senza mezz’ora di suppliche é qualcosa che solo chi lo ha provato lo sa.

L’unica differenza sono le battutine sceme che vi toccheranno, da questa parte del mondo (giuro che finora non mi é capitato nessuno che si sia astenuto dal mostrare ai commensali il proprio livello di scemenza – e lo so che chi si é riconosciuto dire delle mie disgrazie, lo so). E comunque, nel caso dovessero toccarvi in sorte simili amici, un rimedio c’é: doppia razione di cotoletta- e non si parla, con la bocca piena

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RAMEN VEGANO

di Elena Arrigoni

Credo che ormai tutti sappiano che il Ramen é una invenzione piuttosto recente e che sia originaria della Cina. Pare infatti che agli inizi del Novecento questa zuppa di tagliatelle in brodo di carne fosse uno degli street food di maggior consumo, nelle strade di Canton e di Shangai e che i venditori si annunciassero con il suono di un corno, detto Charumera. Da qui, la zuppa passò in Giappone e, complice anche la penuria di materie prime dell’immediato dopoguerra, incluso lo stesso riso, i Giapponesi iniziarono a consumare sempre piú grano. Con l’invenzione degli instant noodles, nel 1958, la moda dilagò e oggi si contano piú di 80.000 ristoranti, nel Paese, dediti esclusivamente alla vendita di questo piatto.

Personalmente, resto fedele alla versione originale, perché guai a toccarmi la ricetta del brodo: gli ingredienti variano dai 5 a un numero pressoché infinito e, fra i fondamentali, il dashi é quello piú fondamentale di tutti, visto che é l’unico responsabile dell’umami. Poi, si puó disquisire su tutto il resto, dalla forma delle tagliatelle alla cottura delle uova, passando per tutte le cose visibili e invisibili che servono alla preparazione di questa portata che, come dicevo, oggi esiste in mille mila varianti, fra cui quella vegana che vi proponiamo oggi.

Che é solo apparentemente velocissima nei tempi, visto che bisogna aggiungere il “brodo vegano”, al quale sarà necessario dedicare tutta l’attenzione che richiede, oltre che “forte” di umami, vista l’alta concentrazione di funghi: due caratteristiche che sono un valido lasciapassare e che promettono sapori quanto piú rispettosi dell’originale, anche se privi degli ingredienti della tradizione

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DORAYAKI

di Nicol Pini

La generazione dei Millennials conosce i Dorayaki grazie a Doraemon, il protagonista dell’omonimo manga diventato poi un cartone animato di grande successo negli anni Novanta. Anche se a casa nostra, la voce piú dolorosa del bilancio familiare erano i Pokemon, fra gli amici di mia figlia circolavano dorayaki confezionati come merendine del Mulino Bianco, per tacer delle mamme piú avventurose che si prodigavano a prepararli in casa.

A doverne parlare oggi, mi pare sia passato un secolo- e non solo perché oggi é il compleanno di mia figlia (e sono 29 e mi sembra ieri)- ma anche perché i Giapponesi, da allora, hanno sviluppato una vera e propria arte dei pancakes, in confronto alla quale i Doryaki rischiano di apparire superati. In realtà, queste morbide focaccine, di solito ripiene di marmellata di fagioli rossi (anko) rappresentano un pilastro della tradizione, il punto di inizio di tutto quello che é venuto dopo e questo solo basterebbe a riabilitarne la memoria :).

Il resto, lo lasciamo alla ricetta che, al pari di tutte le preparazioni analoghe che partono da zero, ha la fragranza, la morbidezza, la freschezza di tutto ciò che é fatto in casa- per non parlare della bontà.

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GELATINA DI LIMONE ALL’AGAR AGAR

di Katia Zanghí

Una gelatina delicata e rinfrescante, perfetta per chiudere un pasto in dolcezza, ma senza appesantirsi.

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