Uno dei momenti piú imbarazzanti della per altro breve parentesi da gastrofighetta aveva avuto come scenario una degustazione di cioccolato.
Erano gli ultimi anni di un periodo sfacciatamente felice, quello in cui potevamo permetterci il “famolo strano”, ignari del fatto che, di lì a poco, avremmo rimpianto quel “famolo normale” che tanto disprezzavamo e, in mezzo a tutti quei sapori confortanti che, all’improvviso, non ci bastavano piú, si era imposto il cioccolato fondente a percentuali superiori a quelle comunemente consumate.
Giuro che ci fu un tempo in cui bastava l’aggettivo -”fondente”- a regalarci momenti di pura gioia, prima dell’era dei “tortini al cioccolato dal cuore morbido” quando, all’improvviso, se non avevi il 70% in dispensa non eri nessuno.
Da li in poi, era stato tutto un alzare l’asticella – e qui mi dichiaro colpevole, vostro Onore: al posto degli agognati amaretti mignon con i liquori, i miei dopocena sono stati funestati da nerissime scheggette di cioccolato, ad avvelenare per sempre liquori e caffè, almeno fino a quando non toccò a me la parte della cavia: la degustazione era di quelle ardite, con una progressione fino al 100% e chi ero io, per adeguarmi ai ritmi del resto del mondo?
Forse che non avevo fatto il corso nel posto x e non avevo assaggiato nel posto y?
Forse che il mio palato si sarebbe dovuto annoiare con una verticale da pivelli, quando invece si poteva benissimo iniziare da metà percorso?
E perché perdere tempo, partendo da metà? Perché non iniziare da 3/4 o, già che c’eravamo, dall’ultima tappa?
E così, fu che mancò poco che finissi all’ospedale, dopo essermi provocata un mezzo coccolone mettendomi in bocca un bel pezzo di cioccolato al 100% di cacao e rimpiangendo di averlo fatto per la mezz’ora che ne seguì.
Sorvolo sui dettagli, ma da allora, oltre alla carriera di assaggiatrice, terminò anche la mia confidenza con l’amaro: guai a non
dolcificare il caffè, guai a fidarmi dei consigli del ristoratore, a fine pasto.
Resta, ovviamente, un grande amore per il piú cupo dei sei gusti, quello a cui é dedicato il libro della settimana che ci ha regalato tantissime sorprese, per come declinare questi sapori sulle nostre tavole, in piatti assolutamente convincenti.
CROSTATA DI POMPELMO
Chi mi conosce sa che ho una passione irrefrenabile per tutto quello che riguarda i corredi per la tavola.
Hanno sostituito quella per le teglie, con qualche vantaggio dal punto di vista logistico (occupano meno spazio) e solo svantaggi per il portafoglio ma tant’è: se volete farmi felice, portatemi in un negozio di articoli per la casa o da un antiquario o in un mercatino dell’ usato o in qualsiasi posto sia possibile aggiungere pezzi alle mie collezioni.
Naturalmente, meno utilizzabili sono e più mi attirano e dunque non dovete stupirvi se, alla voce cucchiaini, possiedo pure quelli da pompelmo.
Di solito, a questo punto, mio marito e mia figlia abbandonano la conversazione, mentre io tenacemente proseguo, soffermandomi sulla descrizione dell’ oggetto (ha un bordo zigrinato che serve a separare la polpa dall’ albedo, perché il pompelmo andrebbe servito su un piattino, tagliato a metà per il largo e lievemente cosparso di zucchero); stavolta, però, mi limito a una parentesi perché la torta con cui apriamo la settimana dedicata all’ amaro non ha bisogno di questa attrezzatura.
Il galateo richiederebbe una semplice forchettina ma è talmente buona che, in caso di incursioni notturne nel frigo, è contemplato anche il mangiare con le mani.
A patto che ne lasciate un po’, per chi arriverà dopo di voi!
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PUNTARELLE CON ARANCIA ROSSA
di Vittoria Traversa
Visto che ieri vi ho ammorbato con la mia passione per i servizi da tavola, oggi sorvolerò su quella per le caccavelle: mi limiterò a citare, fra i mille Mila attrezzi dall’utilizzo sconosciuto che ho dovuto assolutamente comprare, il famigerato taglia puntarelle che rispunta immancabile a ogni trasloco, con tanto di “e questo cosa diamine è?” di ordinanza.
Non so che cosa mi sia preso, quando ho deciso che non potevo vivere un minuto di più senza quell’ attrezzo, ma so per certo che non è mai stato usato, visto che, alle mie latitudini, le puntarelle non sono mai pervenute.
Finché ho abitato a Genova, le vendeva Cartier, dopodiché non le ho mai più viste. Però le mangio, con grande soddisfazione, ogni volta che sono a Roma, e ne serbo pure il rimpianto, perché mi piacciono da impazzire.
Così come mi piace l’abbinamento della ricetta di oggi che, purtroppo, posso solo immaginare ma che vi invito caldamente a preparare, anche per me.
Nella speranza che prima o poi pure per il taglia- puntarelle arrivi il momento buono….
📚 PUNTARELLA CHICORY WITH BLOOD ORANGES da BITTER di Jennifer McLagan, dagli scaffali di #cook_my_books alla tavola di @vittoriatraversa
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TAJINE DI MANZO E CARDI
di Francesca Geloso
Da buona nipote di nonna piemontese, dei dintorni di Nizza Monferrato, ho sempre pensato ai cardi come a un patrimonio esclusivo della zona.
Leggere che invece sono un ingrediente importante della cucina marocchina mi ha riempito di stupore e di interesse, visto che ne sono particolarmente golosa e vorrei esplorare altre strade, oltre alla bagna cauda e alla gratinatura in forno.
Se poi, dalle parti del Marocco, qualcuno mi sapesse anche suggerire il rimedio per non farsi annerire le mani quando li si pulisce, la gratitudine salirebbe a livelli altissimi (anzi, approfitto anche a queste latitudini: c’é un modo per evitare di girare con le mani nere per tre giorni o mi devo rassegnare ai guanti?).
Nel mentre, contraccambio in anticipo con questa ricetta che profuma di spezie e di limone e che reclama a gran voce un cous cous di accompagnamento, per un piatto unico, da vera festa.
📚 CARDOON BEEF TAJINE da BITTER di Jennifer Mc Lagan dagli scaffali di #cook_my_books alla tavola di @franew81
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CAVOLINI DI BRUXELLES CON CECI
di Manuela Valentini
Non so nella vostra bolla, ma nella mia i cavolini di bruxelles sono un cibo divisivo.
Anzi, ora che ci penso: fatta eccezione per la sottoscritta e per pochissimi altri, sono fra i cibi piú detestati che ricordi. Per dire, mio marito non ne sopporta neppure la vista (figuriamoci l’odore) e il fatto di vivere nella patria di elezione di questo ortaggio ha avuto il solo risultato di fargli detestare ancora di piú la -per lui- perfida Albione.
Potrei addentrarmi in altri aneddoti, sullo stesso argomento, se non fosse che meno agli altri piacciono, piú io me li godo, mangiandomeli da sola, in silenzio, magari in compagnia di un buon libro: li adoro bolliti, conditi con un filo di balsamico, mi piacciono ripassati in padella con burro, pancetta e castagne, li ho provati pure crudi, affettati fini fini come il cavolo cappuccio.
Da quando ho saputo che fanno pure dimagrire, ho raddoppiato le dosi (ingrassando, ovviamente, ma sono dettagli): insomma, nutro verso di loro un amore sconfinato e questa ricetta, che li presenta con un legume dolce come i ceci, sfodera un equilibrio a cui so che sarà difficile resistere.
📚 BRUSSEL SPROUTS AND CHICKPEAS da BITTER di Jennifer Mc Lagan dagli scaffali di #cook_my_books alla tavola di @profumicolori
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CHOCOLATE TARTE
Cos’é che dicevamo, all’ inizio della settimana, a proposito dell’amaro e del cioccolato?
Bene, ecco la risposta definitiva, con una splendida tart che altro non é che l’ennesima rielaborazione della Tart Robuchon.
Che, a sua volta potrebbe essere un ottimo test di quelli che vanno di moda adesso, dimmi che sei un boomer senza dirmi che sei un boomer, visto che nei nostri tempi preistorici servire la Robuchon a fine pasto era considerato il massimo della raffinatezza, con quel tocco di esterofilia rigorosamente tutta francese che ci rendeva automaticamente cittadine del mondo.
Ora, siccome dalle mie parti bisognava sempre esagerare, io avevo anche la ricetta della torta rivale, quella di Felder, la Ma Tarte Choc.
Ci avevo ammorbato mezzo mondo, con racconti di “quella volta che al Crillon” e la texture e la percentuale di cacao e la sensorialità e tutta l’infinita lista di scempiaggini di cui mi son resa colpevole e a cui mio marito ha messo bruscamente fine, una sera, decretando coram populo che per lui erano uguali.
E che, neanche a dirlo, quella che preferiva era quella di sua mamma.
Tuttavia, se vi dicessi che da allora ho smesso di prepararla, vi direi una bugia: perché se mai c’é una torta da porca figura, é proprio questa.
Facile, raffinata, perfetta per chiudere pranzi e cene e- soprattutto- buona da non dire.
Provatela – e mi darete ragione.
📚 CHOCOLATE TART, da BITTER di Jennifer McLagan dagli scaffali di #Cook_my_Books alla tavola di @laurafoodandmusic
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COSTOLETTE DI VITELLO GLASSATE AL CAMPARI
l libro @cook_my_books di questa settimana è Bitter di @jennifermclagan ed è un libro da tenere a portata di mano perchè racchiude bellissime ricette e molte idee per una cucina pratica e gustosa. E se, come a me, vi piace un po’ l’amarostico nel cibo, è quello che fa per voi.
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Insalata belga alla fiamminga
Il libro della settimana di Cook_my_Books è Bitter di Jennifer McLagan.
Un libro da tenere a portata di mano, ricco di ricette pratiche, veloci e gustose. E con un po’ di amarognolo, come dice il titolo.
A me piace l’amaro in cucina, infatti amo tutte le verdure amarognole e le cucino spesso, e da questo libro ho scelto più di una ricetta.
Quella che vi propongo oggi è un classico della cucina belga.
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Tartufini di cioccolato al tabacco
Finisce la settimana @cook_my_books dedicata a Bitter di Jennifer McLagan.
Io chiudo in bellezza con questi ricchi, scuri, cremosi tartufini che hanno un intenso sapore di cioccolato. L’amarezza del tabacco arriva dopo ed è un sentore molto piacevole, sorprendente.
Provateli!
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Risotto con radicchio e zucca
L’abbinamento radicchio e zucca lo adoro…in risotto poi, penso sia perfetto. Il radicchio può essere più o meno amaro, a secondo di quello che si trova o si sceglie durante la spesa, ma sicuramente, il matrimonio con la zucca lo rende perfetto, per farci un risotto da sogno.
E’ il suggerimento che ci da Jennifer McLagan nel suo libro Bitter….”Amaro”, dove si elogia questo sapore che spaventa così tanto in cucina, ma che, se saputo usare, aiuta a creare piatti particolari e marvigliosi.
Nel caso di questo risotto con radicchio e zucca, il radicchio regala un colore ‘vinoso’ e la zucca una cremosità dolce e vellutata.
L’autrice ci suggerisce di fare il risotto in piccole quantità e, in effetti, è più facile da gestire. Se volete, comunque, potete raddoppiare le dosi, senza problemi.
E, se potete, usate un buon brodo fatto in casa… di pollo, come suggerito o vegetale, come ho fatto io!
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Granita al Campari
di Katia Zanghì
Vi piace l’amaro? Se sì, benvenuti. È all’amaro che la squadra di #cook_my_books sta dedicando la settimana. Andate a dare un’occhiata! Questo, il primo dei miei contributi, e vi scrivo di seguito la ricetta.
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