Per molti nominare insieme Slovenia e Croazia è quasi automatico: si pensa alle vacanze, alla piacevolezza dei paesaggi e delle mete da visitare, a lingue similmente incomprensibili, a golosi piatti non troppo diversi da quelli italiani. E poi in fondo sono entrambi Paesi della Comunità Europea… che grandi differenze ci saranno mai? Dal punto di vista storico, invece, sebbene confinanti la storia dei due Paesi non potrebbe essere più diversa.
E’ decisamente mitteleuropea quella della Slovenia, che, solo per citare gli ultimi due secoli, fece parte dell’impero Austroungarico in rapporto diretto con l’Austria ed ebbe sempre nelle vicende internazionali un ruolo di interlocutore paziente e saggio, che pondera bene le conseguenze prima di agire e che sviluppa nel frattempo un profondo dibattito interno sui temi dell’identità nazionale, della lingua e della cultura locale.
E’ decisamente “balcanica” (termine che spesso suscita polemiche, e che qui dunque uso in senso prettamente geografico) quella della Croazia, che dello stesso impero faceva parte ma con riferimento più alla dominazione ungherese, e che per affermare la propria indipendenza politica e sovranità culturale fu per secoli immersa in lotte e guerre con molto dei Paesi confinanti, fiera della propria lingua e addirittura del proprio sistema di scrittura, dalla mentalità fortemente identitaria che spesso si è espressa politicamente con gesti assai decisi.
Dire in due righe degli altalenanti rapporti di forza con l’Italia dopo entrambe le due Guerre Mondiali, della formazione e poi dello scioglimento della “Grande Jugoslavia”, di cui sia Slovenia che Croazia facevano parte, e dei travagliati anni necessari a ridefinire confini e sovranità di ciascuno dei Paesi che la componevano equivale a sorvolare su guerre e patimenti terminati da neanche vent’anni, con segni tuttora visibili, soprattutto nella Croazia dei paesini e delle campagne, quella nemmeno poi tanto lontana dalle mete turistiche più classiche della costa e dei grandi parchi naturali.
La sensazione che si vive ora viaggiando per la Slovenia collinare e montana è quella di un Paese pulito ed ordinato, dalla mentalità europea e dalle regole ben chiare a tutti, una sorta di Svizzera un po’ più barocca e umana. Le risorse interne sono sfruttate al massimo e l’adozione dell’Euro facilita non solo gli scambi commerciali ma moltissimo anche il turismo di base. E’ un Paese socialmente in crescita, nonostante gli scandali politici, la crisi economica e tanti altri piccoli e grossi mali che lo accomunano a tanti altri Paesi europei, in cui le persone vivono mediamente tranquille e sono interessate alla cultura propria ed ai costumi altrui, rasserenati da una pace che finalmente sembra non essere più messa in pericolo da nessuno.
Le sensazioni invece che si provano in Croazia sono variabili come i suoi paesaggi, le sue architetture, i suoi dialetti: si passa da spiagge sassose e super affollate a stradine serpeggianti nei boschi, dal deserto dei paesini di poche case persi tra i campi ordinati alla ricostruzione urbana curata e colta dei centri di media grandezza, con il dolore silenzioso ma mai sopito di una guerra troppo recente che fa ancora capolino qua e là, a volte in un monumento, a volte in una vecchia facciata sforacchiata dai colpi di mortaio. I Croati non hanno smesso di essere etnicamente fieri ed arrabbiati con il mondo, la loro moneta è la kuna, far perte dell’Europa unita per loro non è una meta ma uno strumento inevitabile.
Come parlare dunque in uno stesso articolo della gastronomia di due Paesi tanto differenti, sia per etnia che per mentalità? Ovviamente alcune abitudini alimentari sono comuni, per una collocazione geografica non troppo dissimile e per una storia che li ha sempre messi in rapporto, a volte come alleati a volte come nemici, contribuendo a consolidare certi costumi e certi gusti.
Ad esempio quello per le zuppe: in nessuna casa, sia slovena che croata, e di conseguenza in nessuna trattoria popolare (gostilna in sloveno, konoba in croato), manca mai un buon brodo di base, quasi sempre di carne o ossa, che diventa panacea di tutti i mali con semplici crostini, pasta reale o capelli d’angelo, o che fa da base a squisite zuppe stagionali, come quella di funghi o di pomodori. E pure le patate sono un cibo adorato da entrambi, e soprattutto in Slovenia preparato in mille modi.
Le cucine regionali però, sia in Slovenia che in Croazia, sono talmente differenziate tra di loro che diventa complicato stabilire dei tratti comuni anche all’interno dello stesso Paese, figuriamoci tra nazioni. E se la storia più recente le ha avvicinate in vicende parallele, quella più antica parla di invasori ed esperienze molto differenti, per cui, ad esempio, nella Croazia del Nord esistono spezzatini, gulash, simili al bograč sloveno (dove il golaž è una zuppa) oppure dolci a base di semi di papavero perché entrambe le aree hanno attinto a spezie sia ungheresi che veneziane, mentre in una Croazia che è stata per secoli argine alle invasioni dei “Mori”, permangono, spesso nei dolci e nella cucina di verdura, le influenze ottomane, soprattutto nelle aree vicine alla Bosnia che, anche dopo il definitivo ritiro turco a fine ‘800, è rimasta musulmana.
Oppure la storia parla di scambi di confine, per cui la pasta è diffusa su tutta la costa istriana sloveno-croata e quella della Croazia dalmata, con formati locali e specialità fatte a mano, mentre trova molto meno riscontro nell’interno croato e nel nord della Slovenia, dove invece si consumano gnocchi (njioki) e ravioli (žilkrofi), come nell’Europa centrale e nell’Italia del Nord, oppure mlinci, più simili ai testaroli della Lunigiana che al concetto di pasta all’italiana; in ogni caso solo nelle parti più a contatto con l’Italia la pasta è servita come “antipasto” (ovvero come abbondante portata prima di quella principale), da sola con il suo condimento dedicato, per il resto funziona prevalentemente da contorno. Questi sotto sono i surliči di Vrbnik.
Oppure è la geografia che comanda, e dunque nelle aree montane di Slovenia e Croazia si trova la polenta, in quelle ventilate i prosciutti, sugli altipiani e nelle pianure adatti all’allevamento salumi, insaccati freschi e formaggi, oltre che, ovviamente, carne di ogni tipo e forma. Si consuma soprattutto maiale, soprattutto grigliato. La frittura è rara, se non per cotolette panate d influenza viennese (e per i dolci delle feste popolari), per il resto in generale, sia per carne che per pesce e verdure, prevalgono griglia o forno, stufatura e lessatura.
Una insolita tecnica di cottura croata, condivisa anche da altri Paesi dell’area ma meno in Slovenia, è l’antica usanza di cucinare un tegame di carne (o pesce) e patate (e/o altre verdure) con sopra e sotto della brace, che i turisti delle coste dalmate conoscono come peka ma che si chiama, nella sola Croazia, anche peča, strepigna, čripnja, čeripinja, črpnja, cripnja, coppa o lopiz, mentre i Bosnia, ad esempio, è detta sač. Nasce dall’antico modo di cuocere il pane per chi non poteva permettersi un forno domestico e dunque copriva l’impasto con una campana di metallo che infilava sotto le braci. Insomma: il famoso “forno di campagna” dell’Artusi!
Un altro caso interessante di condivisione è quello della forma: sotto nomi diversi anche all’interno dei Paesi stessi, da štruklji a burek, da preznic a savijača, sta quello che potremmo semplicemente definire “rotolo di pasta”, che si presta a mille interpretazioni: recita sia il ruolo di strudel che brioche quando è dolce e cotto al forno, ma si sente più cannellone quando è lessato (e a volte poi gratinato) e dal ripieno salato. Con pure casi ibridi, come la bučnica, dolce farcito di zucca e formaggio di Kumrovec, o il lisnato tuesto sir, letteralmente “sfoglia (dolce) con formaggio (salato)” di Krk.
Ma questo sommario articolo sulle specialità condivise tra Slovenia e Croazia non sia fuorviante: ciascuno dei due Paesi possiede una ricchezza gastronomica sorprendente e spesso del tutto originale, che vale assolutamente la pena di approfondire indipendentemente e con cura… magari in due bei viaggi alla scoperta di questi mondi, stupendi e per gran parte sconosciuti.
Acquaviva
per la parte storica: Jože Pirjevec, Serbi, Croati Sloveni, Il MUlino, 1995, Terza edizione 2015, ISBN 978-88-15-25936-3
la foto della peka è di Chiara Picoco
la foto del brodo di carne è presa qui
PS: per una ricetta croata davvero domaci, casalinga, da provare i peperoni ripieni.
2 comments
fu un caso, durante la mia prima vacanza croata, trovarmi a 6 km dal paesino dove nacque mia madre. nonostante la sua famiglia fosse lì di passaggio e le mie origini siano, di fatto, da ricercare altrove, sento di appartenere profondamente all’istria.
l’ho percorsa in lungo e in largo, vivendone tanti aspetti e gustando ogni prelibatezza piu’ tipica.
Il tuo articolo mi fa venire voglia di tornarci, perché a casa si torna sempre volentieri.
Questo è un viaggio nelle mie origini croate. Grazie per l’articolo, cara annalena, come sempre sei una miniera d’oro!
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