Frangersi è il destino del vero barman. Nel senso letterale, del frantumarsi nei mille ruoli richiesti dal mestiere, e in quello figurato del finire franto, troppo maturo per quasi tutto. Perché vivere dietro un bancone non è vita banale.
Prima di tutto se sei un vero professionista devi aver studiato l’arte della miscelazione e saperla praticare con passione e serietà, con levità e competenza tutte insieme: ogni ingrediente ha una sua anima, ogni mix un suo respiro e un barman che si rispetti deve essere in confidenza con ciascuno di essi per intuire il vero segreto della perfezione di un cocktail, per recitare a memoria di cuore quelli classici e per creare la bevanda “esatta” quando si tratta di inventare.
- Mirko Stocchetto, mitico bartender del Bar Basso di Milano
Poi un barman deve decidere se vuole lavorare per se stesso o per gli altri. Questo è un passaggio fondamentale: soprattutto agli inizi, quando salire sulla pedana del bancone assomiglia all’uscita su un palcoscenico, quando esibire le proprie capacità serve a stupire i clienti, a diventare un personaggio. Con l’andar del tempo, invece, il bartender si accorge che il vero mestiere è quello di ascoltare: l’esperienza spiega che il cocktail perfetto non è ginnico o multicolor, è semplicemente quello che si adatta alla persona che hai davanti e al suo umore del momento. E che, senza un buon intuito ed una certa dedizione all’animo altrui, difficilmente lo si azzecca, e che è complicato “stupire” l’animo delle persone, al di là degli occhi.
La tappa successiva di un bartender alla vecchia maniera, che in sé racchiude doti da miscelatore e da psicologo, é quella di crearsi una clientela affezionata, che apprezza entrambe le tue capacità e che spesso finisce per considerarti più che un amico: direttamente un confessore. Ma è un’esperienza che capita raramente al barman contemporaneo: spesso il rapporto con l’avventore non è un dialogo diretto con la persona seduta al bancone ma subisce la mediazione da un cameriere che comunica ordinazioni scelte al tavolo da una lista. Al massimo, se hai buona memoria, puoi ricordare le preferenze di clienti abituali prevenendo il cameriere, ma la parte umana del mestiere è inconsistente.
Dove ottieni allora la vera soddisfazione professionale? Nel creare una lista interessante, corrispondente all’atmosfera del locale e allo stile della clientela media, con una selezione ben mirata dei cocktail classici e/o con una bella gamma di invenzioni tue personali, tenendo fissi alcuni capisaldi e ruotando altre proposte in base alla stagione, alle notizie scambiate con colleghi, alle tendenze che sai cogliere nell’aria, all’umore variabile della clientela. La parte umana del mestiere, se sei bravo, qui rispunta: è più simile a quella di uno chef che di un bartender perchè la recuperi dai tavoli che ti mandano i complimenti, dal fatto che le stesse persone continuino a tornare e che magari vengano a salutarti prima di accomodarsi lontano dal bancone.
Quando qualcuno decide di sedersi al banco, a questo punto, non è più per cercare un confessore a cui parlare di sé ma per sapere proprio di te. Ed ecco che la pedana del bancone torna ad essere palcoscenico. Ma in questo caso lo stupore, l’apprezzamento e l’interesse che hai ottenuto sono passati attraverso le sapienze ed i sentimenti che hai saputo esprimere nei tuoi cocktail. E capisci che è con l’attenzione agli altri che hai attirato attenzione su di te, non più miscelando perizia e dialogo diretto ma versandoli con gusto ed accortezza entrambi dentro il bicchiere.
Altra storia è se lavori in una discoteca o in un locale “trendy”, dove i titolari decidono di servire solo cocktail standardizzati, quei tre o quattro di moda al momento, da preparare con prodotti dozzinali o, peggio ancora, con premiscelati pronti. Il bere è qui destinato ad una clientela poco interessata al cocktail, gente a cui basta un rametto di menta nel bicchiere o uno shaker che vola in aria per sentirsi appagata. Potrai anche divertirti come flair (barman acrobatico) qui, ma lo spettacolo è quello delle tue mani, non del tuo sapere: il lavoro resta on stage ma si rivela poco diverso da quello di una catena di montaggio… in sostanza professionalmente sei parte del locale ma non esisti in quanto bartender.
Quando la professione si annulla che fare? Come esprimere la sfrangiamento professionale? Con chi prendersela? Come vendicarsi? Be’, se non si ha modo di andare a lavorare in un locale migliore le alternative sono poche: una su tutte puoi continuare nel privato a miscelare bene e bere meglio, alla faccia di un lavoro insoddisfacente, e prenderti le tue soddisfazioni miscelatorie nel resto della vita personale, come d’altronde si fa in molte altre professioni.
Se non sai vivere di rassegnazione, invece, puoi mettere insieme comunque dei cocktail accettabili con i prodotti che hai a disposizione, servirli agli esemplari più evoluti della clientela che si affaccia al bancone e, se sai vivere di sogni, riportarne ai titolari l’appezzamento: al di là di una improbabile apertura al cambiamento puoi comunque ricavarne una certa gradevole soddisfazione professionale.
Se hai animo per il rischio, infine, puoi coraggiosamente ripescare la tua autostima professionale e dedicarti alla (forse) vendetta perfetta: mandare tutti a quel paese, ideare un format che non implichi investimenti impossibili, trovarsi eventualmente un socio ed aprirsi un proprio cocktail bar! Può essere meno dispendioso di quanto si immagini: a Milano ne esiste addirittura uno, quello in foto qui sotto, con soli tre sgabelli, e funziona alla grande. Il bar più piccolo del mondo, insomma, come antidoto contro il frangersi del destino da bartender sottovalutato!
La foto di apertura è presa qui
La foto di Mirko Scacchetto è presa qui
la foto di Cheers è presa qui
la foto dei clienti soddisfatti è presa qui
Lo schema per usare il premix con vodka è preso qui
La foto del bar più piccolo del mondo è presa qui
2 comments
Sono ammirata dal tuo modo di scrivere! Articolo profondo e struggente, quasi.
Bellissimo articolo, Acquaviva!
…E al BackDoor43 a questo punto ci devo assolutamente andare! 😉
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