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di Giulia Robert- Alterkitchen
Il risotto più famoso del Piemonte è indubbiamente la panissa o paniscia, che esiste in due fondamentali versioni, che differiscono fra loro per localizzazione geografica, ingredienti utilizzati e, aspetto forse più evidente, per denominazione: la paniscia è novarese, mentre la panissa è vercellese.
Che sia chiaro, i due piatti si somigliano assai, dal momento che gli elementi essenziali ed irrinunciabili rimangono gli stessi: il riso, i fagioli e il salam d’la duja, un salame a grana piuttosto grossa e a pasta morbida (molto simile nell’aspetto al cotechino) che prende il suo nome dal contenitore in terracotta in cui veniva fatto maturare, rigorosamente sotto strutto (una tecnica di conservazione utilizzata in passato nelle zone più umide del Piemonte, dove il clima non permetteva la stagionatura tradizionale dei salumi all’aria).
Le somiglianze ci sono, abbiamo detto, ma altrettante (se non di più) sono le differenze fra questi due piatti tradizionali. Nella paniscia novarese, infatti, si utilizzano i fagioli borlotti, il riso è di qualità Arborio, Carnaroli o Roma, oltre al salam d’la duja si trovano anche le cotiche di maiale e sono inoltre presenti ortaggi come sedano, carota e cavolo verza. La panissa vercellese prevede l’utilizzo di riso Arborio, Baldo o Maratelli, di fagioli di Saluggia, ma la lista degli ingredienti si ferma poco oltre.
Chiaramente ogni famiglia ha la sua versione, con differenze più o meno marcate rispetto a questa semplicistica suddivisione che ho appena tracciato, ma che mi era utile per delineare i contorni della mia ricetta della panissa vercellese, davanti a cui non posso che stendere due mani belle aperte.
Prima.
Nulla di me è vercellese (almeno che io sappia), quindi non pretendo di dettare la verità sulla panissa, né posso dire che questa sia una ricetta tradizionale tout court, tramandata cioè di nonna in nipote nei secoli dei secoli amen, anche se pare che la ricetta sia già testimoniata (ed in un pranzo di nozze, mica cose da nulla) nel ‘700, e quindi i tempi tecnici ci sarebbero anche. Ma è davvero una ricetta di famiglia, perché era l’unico piatto che mio nonno
materno abbia mai preparato (almeno a mia memoria), rigorosamente una volta l’anno, e perché mia zia ha proseguito la sua tradizione, utilizzando la propria ricetta che, oltre ad essere molto fedele a quella originale, è semplicemente divina, e anch’essa viene (quasi) rigorosamente proposta in famiglia una volta l’anno, d’autunno o
d’inverno (ma questo va da sé, visto il piatto). Personalmente, invece, mi arrogo il diritto di dire la mia su questo piatto dopo aver contribuito a prepararne 17 kg (e mi riferisco solo alla quantità di riso) per il cinquantenario della sezione degli alpini dello zio, e credo che questo in materia valga ben più del diploma al Cordon Bleu.
Nulla di me è vercellese (almeno che io sappia), quindi non pretendo di dettare la verità sulla panissa, né posso dire che questa sia una ricetta tradizionale tout court, tramandata cioè di nonna in nipote nei secoli dei secoli amen, anche se pare che la ricetta sia già testimoniata (ed in un pranzo di nozze, mica cose da nulla) nel ‘700, e quindi i tempi tecnici ci sarebbero anche. Ma è davvero una ricetta di famiglia, perché era l’unico piatto che mio nonno
materno abbia mai preparato (almeno a mia memoria), rigorosamente una volta l’anno, e perché mia zia ha proseguito la sua tradizione, utilizzando la propria ricetta che, oltre ad essere molto fedele a quella originale, è semplicemente divina, e anch’essa viene (quasi) rigorosamente proposta in famiglia una volta l’anno, d’autunno o
d’inverno (ma questo va da sé, visto il piatto). Personalmente, invece, mi arrogo il diritto di dire la mia su questo piatto dopo aver contribuito a prepararne 17 kg (e mi riferisco solo alla quantità di riso) per il cinquantenario della sezione degli alpini dello zio, e credo che questo in materia valga ben più del diploma al Cordon Bleu.
Tutto il merito della ricetta, quindi, va alla zia Daniela, che per la prima volta ha tentato (sotto mia costrizione) di dare delle dosi, seppur indicative, alla preparazione. Si sa, la tradizione va di pari passo con la misurazione ad occhio, ma qui si è fatto uno sforzo di traduzione, e non ce ne vogliate se non sarà preciso al grammo.
Seconda.
Io ve lo dico, pentole in acciaio e fornello possono darvi un buon risultato, ma la ricetta urla pentola di coccio a gran voce, e il piatto che otterrete sarà ben diverso. Se poi invece del fornello avete un putagé (la classica stufa a legna, che in Piemonte prende questo nome), preparate i fazzoletti, perché come direbbe mia mamma, la panissa in questo caso “fa piangere”.
Io ve lo dico, pentole in acciaio e fornello possono darvi un buon risultato, ma la ricetta urla pentola di coccio a gran voce, e il piatto che otterrete sarà ben diverso. Se poi invece del fornello avete un putagé (la classica stufa a legna, che in Piemonte prende questo nome), preparate i fazzoletti, perché come direbbe mia mamma, la panissa in questo caso “fa piangere”.
Ingredienti
(per 4 persone)
(per 4 persone)
Per il brodo
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250 grammi di fagioli di Saluggia
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una cipolla, in cui avrete infilzato 3 o 4 chiodi di garofano
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alloro
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piutin (zampetto di maiale) precedentemente sbollentato
Per la panissa
-
cipolla
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lardo
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salam d’la duja (oppure salame morbido, o cotechino)
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2 cucchiai di salsa di pomodoro
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360/400 grammi di riso Arborio (o Baldo, o Maratelli, ma anche Carnaroli)
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1 bicchiere di vino rosso corposo (consigliato il Barbera)
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sale q.b
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pepe q.b
Procedimento
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Per prima cosa preparate il brodo, facendo bollire a lungo i fagioli di Saluggia insieme alla cipolla, all’alloro e al piutin precedentemente sbollentato (altrimenti rilascerebbe troppo grasso nel vostro brodo). Dal momento che il piutin è assai saporito, io vi consiglio di assaggiare il brodo prima di aggiungere il sale.
-
Preparate un battuto di lardo, che farete soffriggere insieme alla cipolla tritata e al salam d’la duja (o salame morbido, o cotechino) tritato, fino a doratura. Aggiungete quindi due cucchiai di salsa di pomodoro.
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Unite ora il riso e fatelo tostare per qualche minuto, quindi aggiungete via via il brodo di fagioli, come fareste per un normale risotto, mescolando frequentemente.
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Durante la cottura abbiate cura di aggiungere non più della metà dei fagioli contenuti nel vostro brodo, poiché tenderanno a sfaldarsi, mentre a voi servirà una parte degli stessi da aggiungere intera a fine cottura.
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A fine cottura, mantecate con un bicchiere di vino rosso corposo e aggiungete i restanti fagioli del brodo, che così daranno colore e sostanza al vostro piatto finito. Assaggiate e quindi aggiustate di sale e di pepe.
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Ça va sans dire, ma guai a chi mangia la panissa bevendo acqua. Il vino è d’obbligo, di rigore rosso, e pure corposo, ché la struttura del piatto lo chiama a gran voce.
30 comments
[…] a cucinare, a conoscere il territorio e pure gli ingredienti.Infatti la mia scelta è caduta sulla Panissa Vercellese, un risotto corposo, dove gli ingredienti del territorio sono il vero segreto per la buona […]
Se rientra il putagè, allora puoi andare benissimo a braccetto con il 90% della tradizione culinaria piemontese, che di putagè si nutre 🙂
Scherzi a parte, questi piatti a cottura lenta danno davvero il loro massimo con coccio e stufa a legna.. i sapori cambiano incredibilmente. Poi mi dirai 😉
Tra qualche mesetto entrerà di nuovo nella mia cucina la putagè, e non mi interessa che la mia casa non è nè in montagna nè in campagna; non aspetto altro che poggiarci le mie terrecotte e preparare uno di questi piatti di fronte ai quali bisogna solo inchinarsi
A mi viene da piangere anche senza fazzoletto e senza putagé! Anche perché la pentola ce l'ho e questa panica sarà mia a penna entri un po' di freddo!
Grande Giulia questo è uno di quei piatti che fanno felici le persone già dal primo cucchiaio, almeno parlo per me!
besos
…che poi pensandoci bene, da voi in Piemonte, la classica stufa a legna si chiama putagé, ma in Spagna potage viene chiamato quasi ad ogni tipo di zuppa, cotta lentamente.
Beh, il pianto va rigorosamente senza fazzoletto, per insaporire le pietanze commoventi 😉
Non vedo l'ora che il profumo di panissa si sparga anche nelle vostre cucine.. è proprio uno di quei piatti che fa contenti tutti!
Mi sa che le radici delle parole spesso non mentono, perchè anche in francese potage è la zuppa, non sapevo anche in spagnolo ..
Sono rimasta a bocca aperta!!! Non ho mai mangiato la panissa e se devo essere sincera non mi era mai nemmeno venuto in mente di poterla preparare… fino ad oggi… sì, perché leggendo questo tuo bellissimo post ora so cosa preparerò alla prima giornata di freddo invernale. Complimenti per lo splendido esordio.
E invece pensa che io non ho mai osato pensare, per contro, di poterla mangiare fuori casa 😉
Certo, ammetto che è una preparazione piuttosto lunga/complessa e che merita sicuramente un'occasione conviviale per raggiungere la sua massima espressione, ma io non disdegnerei nemmeno una panissa tete-a-tete 😉
Se la provi, poi fammi sapere 🙂
Non essendo piemontenese non conoscevo questo piatto, ma posso immaginare dalle tue foto la bontà di questo piatto!!!
Grazie mille, Virginia! Sono contenta che le mie foto ti abbiano incuriosito riguardo al piatto.. e, credimi, non gli rendono nemmeno pienamente onore 🙂
Clap, clap, clap!!! Bell'articolo e bella ricetta. Anzi, bellissima. Io adoro la panissa, anche se non mi sono mai cimentata nella sua preparazione.
Grazie Giorgia! Come non amare la panissa?!
Diciamo che è un piatto di quelli che chiedono la convivialità.. minime sono le dosi per 4 persone, per meno la voglia si stenta a trovare. Ma se vuoi fare una bella cena con amici, questo autunno o inverno, è una preparazione che merita proprio!
Giuro: ti avrei voluta vedere a girare 17kg di riso per fare la panissa 🙂 sei un mito!!!
Non conoscevo questo piatto (rimaniamo amiche lo stesso??? 😛 ) ma mi mette una voglia di provarlo pazzesca!!! Mi viene da mangiarlo a cucchiaiate PIENE! 🙂
Non scherzo, girare quei 17 kg di riso (con salame, fagioli e compagnia danzante in proporzione) è stata una delle attività fisiche più intense della mia vita.. ma ne valeva la pena, decisamente 🙂
Siamo amiche lo stesso, figurati.. ma per punizione dovrai mangiare una doppia porzione di panissa 😛
Goduria! Vedi perché associo il riso al comfort food? Più comfort di così!! E poi c'è tutto qui dentro: i nonni, le mamme e le zie, la nostra storia, la dieta mediterranea, il piatto unico tipico delle nostre tavole…quello che ci vorrebbe in questi giorni di temporali! Grazie mille
Il riso in effetti è proprio un comfort food per eccellenza, dall'antipasto (anche se è riduttivo forse mettere qui arancine, crocchette, supplì e quant'altro), ai primi (risotti, minestre) fino ai dolci (budini e crostate di riso).
Grazie, Cristiana.. sono davvero contenta che tu abbia apprezzato 🙂
un piatto ricchissimo sotto ogni punto di vista…complimenti!
Grazie Rosaria.. in effetti questo piatto è proprio un tripudio! 🙂
UUUUh la Giuli ancora non lo sa, ma mi sa che le toccherà il battesimo della PAnissa per tutti noi … 😀 altro che 17 kg !
Ahah, il battesimo della panissa mi manca 😀
Ma faccio notare che i commensali per i 17 kg di riso erano sopra il centinaio.. sarà che dopo 3 antipasti (alla piemontese), gli agnolotti e con ancora arrosto e due dolci a seguire, le porzioni erano esigue 😉
Dici che devo procurarmi un coccione per ottobre? 😛
Hai inaugurato la tua entrata nella redazione delll'Mtc con un post ed una ricetta coi fiocchi! Secondo me, per averne preparati ben 17 chili per la festa degli alpini, ti meriti la laurea ad honorem della panissa!
Dal canto mio, condivido pienamente due cose: uno, che il putagé dà un gusto tutto particolare ai cibi (ho la fortuna di usarlo ancora nella casa dei nonni in montagna), e due, che sopra un piatto così un buon rosso piemontese dovrebbe essere obbligatorio per legge!
Grazie Giulia per il tuo benvenuto in redazione 🙂
Guarda, quei 17 chili sono ancora oggi ben vividi nella memoria.. altro che andare in palestra a fare il vogatore, considerando che per girare quel risotto praticamente utilizzavo una pagaia 😛
Io purtroppo non ho un putagè a disposizione, e quello che si intravede nelle foto ormai non c'è più, e questo è l'ultimo piatto che ci abbiamo preparato sopra.. gli zii hanno poi cambiato casa e il putagé è andato ad altri. Ma davvero, ogni cosa preparata lì sopra (o lì dentro) diventa qualcosa di incredibile, dal bonet alla polenta.
Non ho osato ri-consigliare il Barbera in abbinamento per non parere noiosa (visto anche che il Barbera lo berrei anche a colazione), ma in effetti è la morte sua.. ma se non si vuole il barbera, basta che sia rosso e basta che sia corposo, poi io mi dico soddisfatta 🙂
Stu-pen-do! e non dico altro, che son già commossa alle lacrime!! grazie per questo bellissimo post, per questa ricetta che non conoscevo se non di nome ma che visti gli ingredienti assolutamente strepitosi non mi resta che provare.. e in montagna da noi abbiamo pure un putagé!!! Grazie Giulia!!
Sarà che sono figlia di mammà, ma per me un piatto buono ormai è assolutamente sinonimo di pianto a dirotto 😀
Se la provi, e se la provi sul putagè (dove vengon buone anche le patate solo tagliate a metà), non credo tornerai indietro! È uno di quei piatti da serata autunnale e soprattutto da cena conviviale che mettono d'accordo un po' tutti.
PS. ma l'hai mai provato il bonet cotto nel putagé? Perché io ho sentito di gente che si è strappata i capelli 😉
E non nominarmi anche il bonet, se no piango e mi strappo i capelli per la mancanza del putagé!!!!!!!!
Io sulla bontà del bonet fatto sotto le ceneri del putagé ho sempre sentito i canti, non di Omero, ma dei miei, e mi fido assai.
Bisognerà trovare un volontario che ci metta il putagé, poi io ci metto il bonet 😀
Mamma mia Giulia, sarà la fame visto che mezzogiorno si avvicina, sarà che adoro TUTTI gli ingredienti della panissa separatamente e non oso immaginare la loro divina sinergia, ma mi è venuta una voglia pazzesca di panissa, nonostante faccia ancora caldo.
Curiosissima l'aggiunta del vino a fine cottura anziché all'inizio come nei comuni risotti, ma se la fate così il motivo ci deve essere, e santommasamente voglio provare per credere.
Aggiungo una cosa: io il risotto lo cuocio quasi sempre nel tegqme di coccio, non so spiegarne il motivo, ma mi ha sempre ispirato così. L'ho sempre considerata un'eccentricità da sicula trasferita al nord, ma da oggi mi sento quasi giustificata! 🙂
Ah, e quanto vorrei avere un putagé!
Concludo con una domanda, anzi una preghiera: mi dai le dosi indicative di salam d'la duja?
Un abbraccio.
Eh, se ogni ingrediente ti piace per sé, pensando all'unione capisco bene l'acquolina 😉
Io mentre preparavo il post mi godevo uno dei pochi giorni di sole dopo un'estate torinese da dimenticare, e avevo comunque le bave alla bocca 😀
In effetti è l'unico caso che io abbia mai visto in cui il vino si utilizza per mantecare e non per sfumare il riso dopo la tostatura (un passaggio che, secondo me, si potrebbe comunque introdurre senza sbagliare.. melius abundare, no?)
Io il risotto solitamente lo preparo nella padella di rame (l'unica che posseggo, un dono preziosissimo che tengo caro) e mi ha sempre convinto, ma devo dire che il coccio (o anche la ghisa) hanno il loro bel perché! Io non ti giustifico, mi complimento 🙂
Per quanto riguarda le dosi, mia zia è stata reticente, un po' forse perché le dosi vanno anche a gusto/a sentimento, soprattutto per quanto riguarda la parte animale/grassa, però io mi sento di dire che per 4 persone, considerando anche la presenza del lardo nel soffritto iniziale e del piutin che non alleggerisce certo il brodo, una dose sensata potrebbe essere sui 100g, che peraltro è la pezzatura che credo diano (più o meno) al salam d'la duja.
Un abbraccio!
Grazie!!! Non conoscendo il piatto chiedevo una dose indicativa proprio perché i grassi non mancano. 🙂
Se ti dico che non vedo l'ora che venga freddo per provarla mi credi? E ti parla una terrona inside e outside, che ama il caldo sopra ogni cosa! 😉
Figurati! Poi sulla componente grassa molto va a gusto e forse anche al periodo/al luogo (se la mangi a 1000m di altitudine dopo una sciata puoi anche aumentare, ecco), però visto che di maiale ce n'è abbastanza, al massimo andrei a ridurre, in condizioni normali 🙂
Mi fido, mi fido, perché sull'abbinamento riso/pasta e legumi non si scherza, né a nord né a sud 😀
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