scrivere delle cotture lente, io, di slancio, mi son proposta per parlare
del ragù napoletano, epitome di tutte le cotture prolungate. Un attimo
dopo, però, mi son resa conto di essermi messa in un ginepraio. Perché, se
è vero che non c’è nulla di più opinabile di una preparazione
tradizionale, per cui parlarne significa muoversi su un terreno minato,
questo è ancora più vero per il nostro ragù. Il ragù sembra rappresentare
così tanto l’identità gastronomica della nostra città da suscitare fiere
dispute su quale sia la versione
“filologicamente” corretta. Parlarne, inoltre, evoca immediatamente una
serie di stereotipi e di luoghi comuni, che vanno dalla citazione di
Marotta (il ragù non si cuoce, ma si consegue) alla poesia di Eduardo
m’ ‘o ffaceva sulo mammà.
A che m’aggio spusato a te,
ne parlammo pè ne parlà.
io nun songo difficultuso;
ma luvàmmel’ ‘a miezo st’uso
Sì,va buono:cumme vuò tu.
Mò ce avéssem’ appiccecà?
Tu che dice?Chest’ ‘è rraù?
E io m’ ‘o mmagno pè m’ ‘o mangià…
M’ ‘ a faja dicere na parola?…
Chesta è carne c’ ‘ a pummarola)
Eppure, questa preparazione non sembra essere così antica. Tanto per
cominciare, la sua creazione non può essere antecedente alla scoperta
dell’America, perché, ovviamente, il pomodoro giunse qui solo dopo (e ci
si trovò benissimo). Ma è lo stesso nome “ragù”, nell’accezione odierna,
che non compare nei testi prima della metà del’ Ottocento. Vincenzo
Corrado, ne “Il cuoco galante”, infatti, usa questo termine per
preparazioni ben diverse. Ippolito Cavalcanti (discendente di Guido
Cavalcanti), negli anni attorno al 1837-1865, nelle nove edizioni del suo
libro “Cucina teorico pratica”, descrive la preparazione di questo
intingolo, ma solo una volta lo denomina ragù. La parola viene dal
francese ragout, che significa spezzatino, ma anche piatto stuzzicante,
appetitoso.
Venendo alla ricetta vera e propria, ognuno ha la sua e la difende a spada
tratta. Io credo che, quando si tratta di ricette di tradizione, a meno
che non esistano disciplinari depositati, come nel caso del tortellino
bolognese, ci siano dei punti fermi, attorno ai quali possono ruotare
delle varianti. Nel caso del ragù, i punti fermi sono:
Pomodoro
Carne
Cipolle
Vino
Cottura prolungata
soggettivamente. Il pomodoro può essere usato come passata, concentrato o
una combinazione delle due. La carne può essere di manzo (scamone o codino
) o di maiale (copertina di spalla o costine), un pezzo intero, oppure
involtini. Cipolle e vino, a seconda del tipo scelto, conferiranno una
diversa aromatizzazione al ragù.
Premesso ciò, quella che propongo è la ricetta del ragù di casa mia.
Solitamente, io impiego solo le costine di maiale, ma, questa volta, ho
voluto aggiungere anche delle tipiche braciole napoletane, ripiene di
pinoli, uvetta e prezzemolo. Apro una parentesi per precisare che, mentre
nel resto d’ Italia, la braciola è una pezzo di carne da cuocere alla
brace, da noi, per braciola s’intende un involtino. Non conosco il perché
di questa stranezza linguistica (in fondo, braciola/brace sembra una cosa
più logica), però ricordo che mi divertì scoprire che, nel supermercato
newyorchese, le confezioni di fettine di carne sottili, adatte, appunto,
alla preparazione degli involtini, venivano vendute con la dicitura
“braciole”, in italiano.
Per il ragù
Costine di maiale 500 g
Fettine di dietro coscia di vitellone 280 g
Passata di pomodoro 700 ml
Concentrato di pomodoro 2
Cipolla di Montoro 1
Taurasi
1 bicchiere e mezzo
Olio evo
80 ml
Sale
Tagliare finemente la cipolla e farla dolcemente appassire nell’olio (in
passato, si usava lo strutto, ma credo che, oggi, lo facciano in pochi),
sfumando, di tanto in tanto, con un po’ di vino . La cipolla dovrà
praticamente disfarsi. A questo punto, aggiungere la carne e farla
rosolare, sempre a fuoco lento, anche qui sfumando col vino, fino ad
esaurirlo. Questa rosolatura richiederà circa un’ora. Trascorso questo
tempo, aggiungere la passata ed il concentrato di pomodoro e continuare la
cottura per circa 4 ore, fino a quando il ragù apparirà lucido e di un
colore rosso molto scuro. La cottura va sorvegliata costantemente, girando
spesso il ragù, per evitare che si attacchi sul fondo della pentola. Non
c’è nulla di peggio di un ragù “pigliato sotto”, nel quale si avverta quel
sapore di bruciaticcio, detto, chissà perché, “il sentore della
buonanima”.
E questo è il risultato
Prima foto
Io l’ho usato per condire dei “Vesuvi”, un formato di pasta prodotto dal
pastificio artigianale di Gragnano, presso il quale mi rifornisco.
Seconda foto
Per un confronto, riporto anche la ricetta della Jeanne Carola Francesconi.
Per la lardellatura
Prosciutto 100 g
Pancetta 50 g
Prezzemolo
Pepe
Lardellare la carne col prosciutto, la pancetta ed il prezzemolo e legarla.
Per il ragù
Punta di scamone/codino 1,5 k
Cipolle 400 g
Strutto 100 g
Lardo 50 g
Olio 1 dl
Pancetta 50 g
Aglio 2 spicchi
Vino rosso 2,5 dl
Concentrato di pomodoro 400 g
oppure
Concentrato di pomodoro 200 g
Conserva di pomodoro 100 g
Il procedimento è molto simile. La differenza più sostanziale è che la
Francesconi passa al tritacarne la cipolla insieme all’aglio, al lardo e
al prosciutto, prima di metterli in pentola con i grassi e, inoltre,
aggiunge il pomodoro non tutto assieme, ma in più riprese. Una volta
aggiunto tutto il pomodoro, aggiunge un paio di mestoli d’acqua e prosegue
la cottura.
Bibliografia
Jeanne Carola Francesconi
La cucina napoletana.
1 comment
L'idea di avere la ricetta del ragù alla napoletana mi attizzava assai e ve ne sono grata. Ciò che non vedo, salvo essere orbata o tarlucca è la seconda foto.
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