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MTC n. 33: Trieste e i suoi caffé

by Mari
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di Maria Luisa Colucci- Lasagna Pazza
A Trieste si consuma il doppio della
quantità di caffè rispetto alla media nazionale e quasi il 30% del caffè
che viene importato in Italia passa per il porto del capoluogo
giuliano, che, nonostante il suo declino, viene ancora oggi considerato
il porto di caffè più importante del Mediterraneo. E di recente,
addirittura The Economist ha attestato che il miglior espresso italiano
si beve nella città giuliana, con buona pace per i napoletani.
Oggi, per attrarre i turisti, si
racconta che a Trieste il caffè non viene chiamato nei modi consueti. Ed
è vero. Se si vuole un cappuccino bisogna chiedere un caffelatte o un
cappuccino “all’italiana” e se si vuole un caffè macchiato bisogna
chiedere un cappuccino, o meglio ancora un capo e se non lo si vuole
nella tazzina ma nel bicchierino (normalmente è così) bisogna chiedere
un capo in “b”, dove la “b” sta per “bicchiere” e così via. E così
capita di vedere i turisti che, attratti dalle guide, si siedono ai
tavolini dei caffè scrutando le liste convinti di vedervi scritto tutti i
modi di chiamare il caffè a Trieste.
Ma nonostante tutto ciò, è’ probabile
che un triestino che entra in un Caffè a Trieste tutto abbia intenzione
di fare fuorché – scusate il gioco di parole – bersi un caffè.
“Caffè Tergeste, ai tuoi tavoli bianchi
ripete l’ubbriaco il suo delirio;
ed io ci scrivo i miei più allegri canti.
Caffè di ladri, di baldracche covo,
io soffersi ai tuoi tavoli il martirio,
io soffersi a formarmi un cuore nuovo.
[…]
Caffè di plebe, dove un dì celavo
la mia faccia, con gioia oggi ti guardo.
E tu concili l’italo e lo slavo,
a tarda notte, lungo il tuo bigliardo.”
Umberto Saba

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Perché fin da quando sorsero in città le
prime botteghe del caffè, dopo che il traffico di questi preziosi
chicchi si era spostato da Venezia a Trieste alla fine del 1700, esse
costituirono più che dei posti di ristoro, dei luoghi di ritrovo.
Successivamente le botteghe si moltiplicarono in città e nel corso del
XIX secolo divennero dei locali sfarzosi dove vi si riunivano uomini
d’affari, commercianti, politici, ufficiali e funzionari austriaci e
soprattutto artisti ed intellettuali.
Trieste era il porto
dell’Austria-Ungheria, il collegamento tra l’impero asburgico e
l’oriente e i caffè triestini ricalcavano le atmosfere dei caffè
viennesi; gli arredamenti erano sfarzosi, le pareti ricche di stucchi,
con luci e lampadari di cristallo, enormi specchiere alle pareti e
piccoli tavolini di marmo rotondi.
Vi si ritrovavano personaggi come James
Joyce, Stendhal, nel periodo in cui fu console francese a Trieste, Italo
Svevo e Umberto Saba e avevano nomi strani come per esempio il Caffè
Greco, dove si ritrovavano i commercianti della comunità greca, una
delle più importanti della città. Oppure il Caffè Tedesco, il Caffè
della Pace o il Caffè all’Europa Felice, che si narra fosse stato aperto
da un nemico di Napoleone.

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Oggi tanti di quei caffè non ci sono più. Ne rimangono solo alcuni.
Il caffè Tommaseo sulle Rive, tra la
chiesa greco-ortodossa e il Teatro Verdi, è il più antico tra i caffè
storici ancora esistente; ospitava spesso mostre e concerti, è stato il
primo ad offrire ai suoi avventori il gelato e nelle sue sale Italo
Svevo vi passava giornate intere a scrivere o a chiacchierare con
l’amico James Joyce.
E poi il Caffè degli Specchi, con i suoi
tavolini in Piazza Unità d’Italia, ancora oggi considerato il salotto
della città e il preferito dai triestini per l’aperitivo della domenica
dopo la passeggiata mattutina.
O il Caffè Stella Polare, vicino alla
Chiesa serbo-ortodossa e al canale di Ponte Rosso, che durante
l’occupazione anglo-americana di Trieste divenne una famosa sala da
ballo, luogo di incontro tra le belle mule triestine e i soldati
americani e che è ancora oggi frequentatissimo; o ancora il Caffè
Torinese, all’avanguardia all’epoca della sua apertura, sia per il tipo
di arredamento, sia per la concezione di locale polifunzionale, un po’
negozio, un po’ caffè, un po’ pasticceria, caratteristica che conserva
ancora oggi.
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Ma oggi rimane ben poco dello sfarzo di
un tempo. Quasi tutti i caffè storici ancora esistenti hanno subito nel
corso degli anni ripetute trasformazioni e ristrutturazioni che in parte
ne hanno snaturato le antiche caratteristiche. Ma nonostante ciò il
loro fascino persiste. Perché quando si entra in uno dei caffè storici
di Trieste, il tempo pare fermarsi. Quello che si faceva un tempo è
quello che si fa ancora oggi.
E forse è proprio questo il motivo per
cui uno dei caffè più amati dai triestini sia il Caffè San Marco, che
rispetto agli altri sorge in una zona un po’ decentrata e che quasi non
si nota dall’esterno. Ma non appena si varca la sua soglia si viene
catapultati in un’altra epoca.
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Il caffè San Marco fu inaugurato nel
1914, fu completamente distrutto dagli austriaci durante la prima guerra
mondiale in quanto ritrovo degli irredentisti triestini, fu ricostruito
negli anni venti ed è il locale che forse ha maggiormente conservato
l’aspetto di un tempo. Oggi è quello che più fedelmente riproduce la
tipica atmosfera del Caffè viennese con il bancone di legno intarsiato, i
nudi dipinti sui medaglioni alle pareti, i tavolini di marmo con la
gamba di ghisa, le specchiere e gli affreschi originali. Recentemente a
rischio chiusura definitiva per gli elevati costi di gestione è stato
per fortuna salvato in extremis. Chiuso dal giugno scorso per alcuni
lavori di ristrutturazione, dovrebbe riaprire a breve, con la speranza
per i triestini che non ne venga snaturato troppo il suo caratteristico
aspetto retrò e che vi si possa nuovamente ritrovare, seduto come di
consueto al suo tavolino preferito, lo scrittore Claudio Magris che lo
descrive così nel suo libro Microcosmi «Il San Marco è un’arca di Noè,
dove c’è posto, senza precedenze né esclusioni, per tutti, per ogni
coppia che cerchi rifugio quando fuori piove forte e anche per gli
spaiati […] Non è male riempire i fogli sotto le maschere che
ridacchiano tra l’indifferenza della gente seduta intorno […] il caffè è
un luogo della scrittura. Si è soli, con carta e penna e tutt’al più
due o tre libri, aggrappati al tavolo come un naufrago sbattuto dalle
onde […] Il San Marco è un vero Caffè, periferia della Storia
contrassegnata dalla fedeltà conservatrice e dal pluralismo liberale dei
suoi frequentatori […]Al San Marco trionfa, vitale e sanguigna, la
varietà.»
Su quei piccoli e scomodi tavolini si
legge, si studia (io stessa ho passato molti pomeriggi invernali al
tempo dell’università a preparare gli esami davanti a una tazza di
cioccolata bollente), si discute, si gioca a scacchi, si legge un
giornale, si passano ore e ore a chiacchierare davanti a una Sacher, a
una Linzertorte, a una Rigojanci o a una Dobos.
I Caffè di Trieste oggi sono un luogo
sospeso nel tempo, non sono più quelli di una volta ma ne conservano un
fascino tutto particolare, quel fascino antico e un po’ decadente tipico
di quei luoghi che sanno ancora raccontare le mille storie di chi ci è
passato e che cercano, nonostante il loro evidente declino, di restare
tenacemente attaccati a un tempo e a una ricchezza che non esistono più,
per continuare a godere del fasto di una volta. Forse proprio come la
loro città.

Fonti:
Veit Heinichen – Ami Scabar, Trieste la città dei venti

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