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Texas e chili: storia di una bruciante passione…
di Acquaviva- Acquaviva Scorre
Riflettendo sulla diffusa, orgogliosa convinzione di noi Europei in merito alla presunta mancanza di tradizione gastronomica degli Stati Uniti, sono certa che il tema dell’MTC di questo mese contribuisca a sfatare questo falso mito e ne proponga invece un altro che rivela la intensa storia americana di una parola spagnola che definisce invece uno dei piatti nazionali statunitensi da noi più misconosciuti: il chili.
Cominciamo col dire che il chili, nonostante il nome latino e le convinzioni di molti, non è un piatto messicano ma totalmente americano. Prova ne sia il fatto che, oltre a non apparire in Messico se non nei ristoranti per turisti, nel Diccionario de Mejicanismos pubblicato nel 1959 il chili con carne viene definito: “cibo detestabile che viene fatto passare per messicano, venduto negli Stati Uniti dal Texas a New York”!
Ma come è nato il chili e perché proprio in Texas? L’appassionato di chili Frank Tolbert, giornalista, romanziere e storico americano di inizio secolo scorso, provò a rispondere… Nel 1918 Tolbert era proprietario di una serie di ranch in Texas e più tardi anche di una catena di ristoranti di chili nell’area di Dallas e collaborò persino ad istituire l’annuale World Championship Chili Cookoffs di Terlingua.
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Nel ’53 scrisse un libro che divenne un vero testo-culto: A Bowl of Red. Nonostante non fosse propriamente un manuale di cucina, il libro conteneva anche alcune ricette di chili che sono diventate dei classici e soprattutto raccontava come, secondo l’autore, il chili avesse avuto origine nella cultura delle chili queens, le popolane ispaniche della San Antonio di fine ‘800.
Queste donne preparavano in casa uno stufato con i ritagli di carne disponibili, lo insaporivano con abbondante peperoncino (“chili” il spagnolo) , lo portavano in piazza con carretti colorati, scaldandolo con fuochi di sterpi e illuminandolo la sera con lanterne a tinte sgargianti, per poterlo vendere a soldati, cowboys e frequentatori del mercato e ragranellare qualche soldo. Il nome della spezia distintiva di quelle preparazioni secondo Tolbert passò dunque ben presto ad indicare l’intera pietanza.
La tradizione durò fino al 1937, quando una normativa sanitaria, largamente caldeggiata dai ristoranti ufficiali, vietò la vendita di chili per strada senza una adeguata igiene. I carretti delle chili queens sparirono nell’arco di una notte e uno storico dell’epoca, Frank Bushick, si fece portavoce della protesta degli avventori: scrisse che la migliore tra le regine del chili non era ispanica ma americana e si chiamava Sadie e che era un peccato privare la città di una tradizione antica di duecento anni e largamente apprezzata anche da artisti famosi, che avevano ritratto le regine in dipinti o romanzi.
Ma l’appello non servì. Insieme ai carretti delle regine sparirono dalla piazza anche i cantastorie e tutti i folcloristici personaggi che ruotavano attorno a quel mercato e, anche se alcune delle chili queens trovarono impiego nei ristoranti oppure riuscirono ad aprire direttamente qualche piccolo caffè, la tradizione era interrotta. Si tentò di rinnovarla nel 1939 ma con scarso successo, poi la Seconda Guerra Mondiale travolse tutto. Solo negli anni ’80 la città di San Antonio si rese conto dell’importanza di quella tradizione e rese tributo al chili, nel frattempo divenuto piatto nazionale del Texas, con una ricostruzione storica annuale, il Return of the Chili Queens Festival che da allora si tiene ogni anno a maggio durante le celebrazioni per il Memorial Day .
L’accenno di Bushick ai 200 anni di storia del chili apre in realtà la ricerca verso tracce ben precedenti in Texas, che si ritrovano non solo nella storia ma anche nell’immaginario popolare. L’abbinamento tra carne e peperoncino era probabilmente già conosciuto dalle popolazioni native. Un detto indiano sostiene che “il chili viene cucinato da quando è stato inventato l’inverno”. Sembra in realtà che alcuni soldati di Cortéz avessero imparato a cuocere una sorta di chili dagli Aztechi e che lo abbiano a loro volta insegnato ai Nativi dei territori del Nord, mentre secondo un’altra teoria, considerato un conforto per il corpo e per lo spirito, i primi missionari spagnoli ne offrissero una scodella in premio agli indigeni convertiti.
Di tutto ciò però al momento non risultano testimonianze, nonostante molti storici si siano appassionati alla questione. Certo è che la nascita del chili lega fortemente le popolazioni indigene e quelle spagnole. Una leggenda degli Nativi Americani del Southwest, ad esempio, narra l’orgine mistico-onirica del piatto con una testimonianza storica alquanto curiosa. Sembra che la prima ricetta scritta di chili con carne risalga al ‘600 e fosse opera di una monaca spagnola, suor Maria de Agreda, riconosciuta tra gli Indiani come lo spirito della “Dama de Azul”, la signora in blu.
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Si dice che la monaca entrasse in trance per giorni apparendo come morta, ed al risveglio raccontasse di una terra sconosciuta dove il suo spirito predicava il Cristianesimo ai selvaggi locali e li consigliava di cercare consiglio presso i missionari spagnoli. Al ritorno da uno di questi suoi viaggi fantastici la monaca scrisse la ricetta del chili con carne, destinata alla preparazione di cacciagione o antilopi da condire con cipolle, pomodori e peperoncino.
La cosa curiosa è che suor Maria de Agreda non si era mai mossa dal suo monastero in Spagna e non poteva conoscere la maggior parte di quegli ingredienti… Per questo prodigio sembra che persino il re spagnolo Filippo IV, come gli Indiani Americani, riconoscesse in lei lo spirito viaggiante della Dama in blu. E secondo i Nativi Americani questo è anche il motivo per cui un piatto americano porta un nome spagnolo…
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Una versione storicamente più credibile, leggermente successiva, lega comunque il chili alla Spagna: è la vicenda di sedici famiglie delle Canarie Spagnole, un totale di cinquantasei persone, obbilgate nel 1731 ad emigrare in Texas per ordine dal re Carlo V, che voleva rimpolpare la colonia di San Fernando de Béxar di abitanti spagnoli per scoraggiare l’invasione dei coloni Francesi che affluivano verso quei territori dalla Louisiana.
Le strade del villaggio di San Fernando, l’attuale città di San Antonio, cominciarono così ben presto a profumare di puchero, uno stufato di carne canario che qui diventava speziatissimo; le mogli dei nuovi coloni canari aggiungevano infatti i prodotti locali come il peperoncino nelle loro ricette abituali, creando probabilmente un vero antesignano del chili con carne. Stufato poi perfezionato nel tempo con lìesoerienza e che ritroviamo 150 anni più tardi sulle bancarelle delle chili queensdescritte da Tolbert, che avevano cominciato a frequentare il mercato di San Antonio attorno al 1880.
Parlando della rapidissima diffusione del chili nel Southwest tra ‘800 e primi del ‘900, in generale tutti gli storici concordano sul fatto che il chili nasca nell’arco del 19° secolo dalla povertà, quando la carne era talmente costosa per la popolazione meno abbiente che se ne acquistava pochissima, di infima scelta, la si riduceva in pezzi molto piccoli e la si cuoceva mescolandola ad almeno pari quantità di peperoncini e peperoni perché sfamasse il maggior numero possibile di familiari.
La versione di chili più povera in assoluto di cui si abbia traccia è quella dei detenuti nelle prigioni texane della seconda metà dell’800, che rivendicano l’invenzione del “chili di pane”, fatto di tanto pane secco o avena, peperoncino, erbe, acqua e minuscole strisce di carne secca quando disponibili, il tutto cotto insieme fino a raggiungere una consistenza sufficientemente morbida.
Era chiamato the prisoner’s plight, il guaio del prigioniero, e divenne di fatto il piatto simbolo delle cucine delle delle prigioni texane, che venivano giudicate più o meno vivibili dai carcerati in base alla qualità del loro chili. Le cucine carcerarie nel tempo raggiunsero una tale specializzazione che, una volta rilasciati, gli ex detenuti cominciavano a rimpiangere il loro chili e spesso scrivevano addirittura alla prigione chiedendone la ricetta.
Alla fine dell’800 il chili con carne era talmente popolare e diffuso che testimonianze storiche citano frequenti sermoni con cui i predicatori mettevano in guradia i fedeli non solo dai peccati di gola ma anche dal consumo di peperoncino e dei piatti che lo contenevano, a loro dire eccessivamente afrodisiaci, tanto da definirli “piccanti come lo zolfo dell’inferno” oppure “zuppe del diavolo”…
Per tornare in specifico al fascino western del nosto chili, Everrette DeGolyer, un milionario appassionato di chili che si dedicò alla ricerca delle sue origini, trovò testimonianza di un “chili mix” datato 1850 a disposizione del trail cooks, i vivandieri del carro vettovaglie che accompagnava i cowboy nel trasporto delle mandrie in California e Texas.
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Questi cuochi viaggianti preparavano prima della partenza scorte di cibo di base facilmente conservabile, trasportabile e poi cucinabile. Un’idea, ispirata certamente al pemmicam (la carne esiccata dei Nativi), fu quella di pestare della carne secca con grasso, pepe, sale e peperoncino e pressarla in rettangoli impilabili.
Questi chili bricks, cotti a lungo durante le soste, davano uno stufato sostanzioso, confortante e saporito senza bisogno d’altro che di una pentola di acqua bollente. Il suo naturale accompagnamento, in ovvia assenza di pane fresco, erano i fagioli lessati, serviti a parte, che ne attutivano leggermente la piccantezza e completavano il pasto contribuendo a saziare gli affamati cowboy.
Dato il successo del piatto sembra che alcuni trail cooks avessero preso l’abitudine di piantare semi di peperoncino, origano e cipolla lungo il tracciato della pista tra i cespugli di mesquite, sterpi particolarmente sgraditi ai bovini, per poter usare i prodotti freschi ai passaggi successivi in aggiunta ai “dadi” di chili. Il peperoncino da loro preferito era il chilipiquíno, varietà selvatica molto diffusa nelle regioni aride del Texas del sud.
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Peperoncini e erbe erano usati anche per la preparazione degli stufati dalle lavanderas, le lavandaie/attendenti che all’epoca viaggiavano con gli eserciti e che per cucinare utilizzavano la scarsa carne a disposizione, quella delle capre a seguito della carovana o quella degli animali cacciati dai soldati.
La diffusione del chili attraverso tutte queste strade trovò poi riconoscimento ufficiale quando nel 1881 William Gerard Tobin, ex Texas Ranger datosi alla ristorazione, chuise un contratto con il Governo Americano per la vendita del suo chili in scatola (che prevedeva l’uso di carne di capra) ad Esercito e Marina. Purtoppo Tobin morì pochi giorni dopo aver avviato a Fort Mc Kavett, Texas, la prima produzione della sua Range Canning Company ed il progetto venne meno con lui.
Nel frattempo però il chili era diventato ufficialmente un piatto rappresentativo della tipicità gastronomica texana, tanto che nel 1893 il Texas lo presentò nello stand di San Antonio alla Columbian Exposition di Chicago. Da lì la strada era aperta perché il chili diventasse uno dei piatti popolari più diffusi degli Stati Uniti, tanto che nel 1977 il Governo texano arrivò a proclamarlo ufficialmente il “piatto nazionale” dello Stato del Texas.
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In verità anche la Grande Depressione negli anni ’20 giocò il suo ruolo nella diffusione del chili: nel Southwest in quegli anni terribili apparvero molte bancarelle o piccoli localini a conduzione familiare, detti chili joint, che offrivano chili a prezzi bassi e con crackers gartuiti.
Non si trattava di altro che di una tenda o di una stanza con un bancone e qualche sgabello, con un telo a separare la “sala” dalla cucina, ma queste piccole osterie fecero spesso la differenza per chi rischiava di morire di fame per mancanza di denaro. Nel Dictionary of American Regional Englishil chili joint viene definito “una trattoria molto economica che serve specificamente cibo povero”, ma si dice che all’epoca salvarono più vite i chili joints che la Croce Rossa…
Con gli anni ’20 del secolo scorso cominciò anche la diffusione dei prodotti industriali legati a questo piatto, come chili in scatola ed il mix di spezie da chili in polvere, con una conseguente stereotipizzazione del gusto e con la standardizzazione di alcune varianti lontane dall’originale, tipo, appunto ,l’utilizzo del peperoncino in polvere o l’inclusione dei fagioli nello stufato. Cose che i veri intenditori di chili, i cosiddetti chili heads, considerano un abominio…
Perché a fare da contrappunto alla massificazione dell’idea di chili, questo piatto ha anche dei veri e propri fan club di specialisti. Forse proprio perché lì è nato e lì è “cresciuto”, In America oggi il chili considerato “classico” è quello preparato in Texas. E ovviamente, come tutti i piatti di origine popolare, ognuno ha la propria “ricetta perfetta”.
Ma oltre alle tradizioni familiari, esistono club di appassionati e vere e proprie confraternite che dettano regole rigidissime in fatto di autenticità di ingredienti e metodi di preparazione e molti Stati del Southwest vedono tornei e competizioni annuali che ruotano attorno alla sua preparazione ed ai suoi segreti. Per chi volesse approfondire “le regole del chili” questo è il regolamento dei giudici delle gare ufficiali di chili)
Se è impossibile dunque definire “ l’autentica ricetta” del chili texano, resatano però delle regole fondamentali condivise da tutti i cultori. Secondo il mitico Tolbert, tanto per dirne una, il chili include manzo, peperoncini, origano, cumino e aglio. E basta. Assolutamente non i fagioli, che come abbiamo visto ne erano in origine semplicemente il contorno. Comunque, che siano prodotte industrialmente oppure proposte da cuochi accreditati, gli chef texani “veraci” definiscono tutte le varianti che non seguono queste regole di base dei Greek chili, bollandoli insomma come piatti “stranieri”!
Sono infatti considerati Greekanche i chili oramai divenuti tipici di altre zone dell’America, come ad esempio il Cincinnati style chili, che contiene spezie come cannella cardamomo e cacao e si serve con spaghetti (ed in effetti fu inventato nel 1922 da un immigrato macedone…), lo Springfield style chilli (scritto orgogliosamente con due elle) preparato con birra pomodoro e fagioli, il Chasen’s Chili di Hollywood (dal nome del ristorante che lo serviva), famosissimo nel mondo perché il preferito da star e vip americani, che viene insaporito con peperoni verdi pomodoro e, anche qui, fagioli…
Tra gli appassionati di chili anche grandi personalità e fan insospettabili. Si racconta che il bandito Jesse James avesse evitato di svaligiare la banca di MacKinney perché stava a fianco del suo ristorante di chili preferito, che la moglie di Roosvelt avesse chiesto la ricetta segreta del chili al ristorante Chasen ottenendo delle scuse ed una porzione omaggio ma nient’altro, e che il presidente Johnson ritenesse ogni chili preparato fuori dal Texas una debole imitiazione dell’originale ed ogni volta che tornava nella sua città natale gli bastasse gustarsi “ a bowl of red” per sentirsi di nuovo a casa.
E, sempre a conferma che il chili ha uno stretto legame con Indiani e cowboys, con la vita di frontiera ed il selvaggio West, sembra che le ultime parole pronunciate da Kit Carson in punto di morte fossero: “ vorrei avere almeno il tempo per un’altra porzione di chili”…
Acquaviva- Acquaviva Scorre
Bibliografia:
AA.VV., Heritage of America Cookbook, Better Homes and Gardens, 1993, ISBN 0-696-01995-7
Cristiana Bindi, Echi di civiltà alimentary. Profumo di cucina indiana, Nuova Editrice Spada, 1996, ISBN 88-8122-109-8
Randi Danforth, Peter Feierabend, Gary Chassman, Culinaria – The United States, A Culinary Discovery, Koenemann, 1998, ISBN 3-8290-0259-9
Barbara Pool Fenzl, Norman Kolpas, Southwest,the Beatiful Cookbook. Recipers from Amercia’s Sourhwest, Collins Publishers, 1994, ISBN 0-00-255348-1
Phillip Stephen Schulz, As American As Apple Pie, Wings, 1997, ISBN 10- 0824506901
Linda Stradley, History of Chili, su What’sCookingAmerica.net
Frank X Tolbert, A Bowl of Red, by, Texas A&M University Press, 1953 (nuova edizione, a cura di Hallie Stilwell, 2002), ISBN 10- 1585442097
8 comments
C'ho messo un sacco di tempo per leggerlo, ma ora che sono arrivato in fondo quasi quasi mi dispiace: molto molto interessante ed istruttivo! Complimenti, altro che università!
grazie a tutte…
Letto solo ora…e sempre più convinta che questi post sarebbero da stampare e incorniciare, o meglio (dato che riempirebbero le pareti) da stampare e raccogliere in un libro, o una rivista, insieme alle ricette che vi arrivano.
Verrebbe fuori una raccolta a dir poco meravigliosa. Finalmente una rivista che oltre alle ricette, regal un po' di storia, di informazioni, di aneddoti etc…che non fanno altro che arricchire chi legge.
In questi momenti vorrei vedere realizzato il mio (e di mia sorella) sogno (uno dei tanti) di avere una casa editrice!!
Complimenti Acquaviva! E grazie a tutte!!
Rimango sempre affascinata da quanto si nasconda dietro una ricetta e da come vi sia un filo conduttore nei piatti tradizionali spesso nati "poveri" in strada per poi acquistare un proprio ruolo nella cultura gastronomica…cri
Strepitoso.Penso che questi belllissimi post "storici" della MTC dovrebbero diventare una serie televisiva.Probabilmente mi ricomprerei la tele…
Ho letto il post tutto d'un fiato, proprio io, amante della sintesi! Adoro gli approfondimenti MTC 🙂 GRAZIE!
Direi che la capacità di approfondimento della redazione dell'MTC è a tali livelli che non mi stupirei se vi chiamasse un certo sig Larousse per farvi i complimenti! Acquaviva sei stata grandiosa, una ricerca incredibile in cui hai sviscerato le origini del chili in ogni possibile modo e le hai raccontate così bene che questo post vien voglia di rileggerlo, e rileggerlo e rileggerlo.. 🙂 veramente complimenti!!!
Fantastico post, c'è sempre da imparare qui 😀
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