Come abbiamo visto in questi giorni, è difficile stabilire con certezza le origini della pasta, tuttavia sappiamo che nel Settecento ha conosciuto il momento di maggiore espansione in Italia. Alcuni studiosi sostengono che il merito di tale diffusione vada attribuito in parte agli studenti universitari i quali, dopo aver assaggiato questo cibo nelle grandi città lo hanno portato con sé, nei loro territori di origine.
A differenza del vicino Piemonte, la Valle d’Aosta non ha una grande tradizione di pasta: le sue valli sono il tripudio delle zuppe, della polenta e degli gnocchi, tutti piatti che trovano la loro ragion d’essere nell’imperativo categorico di nutrire con poco.: interessanti, però, sono gli impasti con la farina di castagne, forse l’ingrediente più utilizzato e più trasversale di tutta la regione: si fanno tagliatelle e fettuccine, che si condiscono con la verza, con le noci oppure con il “fumet“, un ragu di selvaggina fatto cuocere con ossa di vitello ed aromatizzato con vino bianco ed erbe.
Una manciata di km e la musica cambia, modulata com’è sulla diversità delle partiture che contraddistingue la cucina piemontese: che è povera e rustica ma anche borghese e soprattutto nobile e regale, degno compendio dei fasti della Corte e dei Palazzi che le ruotano attorno. Nella pur trionfale rassegna delle paste ripiene, spicca però un altro glorioso formato, la cui fama dura da secoli, meritatissima e imperitura: i tajarin delle Langhe, pasta lunga e sottile e ricchissima di uova. Sulla quantità di queste ultime, si accettano scommesse: c’è chi parte dalla proporzione classica (un etto/un uovo) e chi arriva addirittura a 30 tuorli, per un kg di farina. In tutti i casi, la “morte sua” sono il burro e il tartufo, a conferma di come, a volte, basti un semplice ma sapiente tocco, per trasformar un piatto ricco in una ricetta regale.
Ricchezza è la parola d’ordine anche per la tradizione gastronomica lombarda, forte di un territorio tanto prodigo quanto variegato, oltre che di una storia di diverse dominazioni, ognuna delle quali lasciò la sua traccia. Al pari del vicino Piemonte, anche nella cucina lombarda son le paste ripiene a farla da padrone (per non parlar dei risi e delle mminestre): ma basta dir Pizzoccheri per evocare un piatto emblema di una valle e delle sue risorse. Ritorna l’imperativo del nutrimento, con l’utilizzo del grano saraceno, a cui si abbinano due ingredienti simbolo di questa terra, quali le verse e il formaggio fresco, Bitto o similare.
Le prossime tre regioni- il Trentino Alto Adige, il Friuli Venezia Giulia ed il Veneto– parlano la lingua seducente e pastosa delle terre di confine: Venezia fu per secoli l’unico tramite con l’Oriente e gli apporti della tradizione austriaca e slava costituiscono ben più che una semplice traccia nella gastronomia delle altre due regioni. Un viaggio in queste terre è praticamente senza fine, tali e tante sono le proposte che ci vengono offerte, così da rendere obbligata una selezione, limitata solo ai piatti che meglio si potrebbero legare al tema della nostra sfida: i Blutnudel, ovvero tagliatelle di farina bianca e farina di segale, impastate col sangue di maiale o di vitello e condite di solito con un sugo grasso, al limite anche burro fuso e salvia, per quanto riguarda l‘Alto Adige; le Zie istriane, lunghi fili di pasta a base di farina e latte, conditi con ricotta affumicata, zucchero e cannella, per la Venezia Giulia; e i celeberrimi bigoli, altro vanto della gastronomia veneta, preparati con l’apposito torchio
Bigoli col Pocio
da Carnacina, L.- Veronelli, L.
La Cucina Rustica Regionale
Le attrezzature per fare la pasta vennero inventate proprio sulla base della tradizione locale: nelle città, luoghi di industrializzazione e di fermento di invenzioni, o nelle città portuali, contraddistinte dal continuo scambio culturale, le strumentazioni erano più complesse (ad es. i torchi meccanici); in campagna invece si trovavano attrezzi più semplici: ferri, pettine, chitarra, il solo mattarello o addirittura nient’altro che le mani. L’attrezzo, come l’ingrediente, diventava talvolta una sorta di status symbol, palesando il lignaggio di chi ne poteva disporre: si pensi ad esempio al corzetto, tipica pasta del genovese, a forma di dischetto, che in epoca medievale veniva decorata con uno stampo. Strumento semplice ma dal valore inestimabile, questo timbro rappresentava la casata nobiliare (spesso con una croce araldica) e ogni signore di palazzo poteva far sfoggio del suo stemma in occasione di banchetti e feste.
Ma se si parla di pasta, la mente corre subito a quella terra che della sfoglia è il regno e ha nelle rezdore le sue regine e nel mattarello l’unico vero scettro: siamo arrivati in Emilia Romagna che, nel nostro viaggio, rappresenta l’ingresso in una zona- il Centro Italia- dove i pici toscani si apparentano con tante altre paste similari, che in Romagna si chiamano strozzapreti, in Umbria Pinci e Stringozzi e Umbrici e nelle Marche prendono altre forme ed altri nomi.
Ed è qui ci attende una sosta- e una pausa pranzo golosa…
A Mercoledì
Elisa – Saporidielisa
Alessandra Gennaro- Menuturistico
18 comments
Ma quante cose da imparare!
Mi sento felice di scoprire un mucchio di cose sulla cucina italiana, e non solo, a traverso questo universo "telematico" dei food blogger.
Queste rubriche sono un esempio per tutti. E poi che mi vengano adire che non c 'è gente valida in giro… Scherzi?!
Fantastiche!
Che bello viaggiare con voi, ragazze!! 😉
brave come sempre!!!!
qui arriviamo a vette insuperate, ormai sempre più colte e competenti. questo blog è una continua sorpresa…
per la pausa pranzo vi siete fermate in Emilia Romagna.. buongustaie!! 🙂
allora mi metto il grembiule e vi tiro due tagliatelle? .. magari, veramente! 🙂
l'argomento è interessantissimo, e voi lo state approfondendo alla grande! complimenti davvero ragazze!
bacioni
Magariii! 😀
Grazie Francy, grazie tutte! :*
ciao, ma che bel post! una pausa ci voleva proprio per mangiare un bel piatto di pasta! io amo la pasta, in qualunque forma sia e da qualunque regione provenga…vi seguirò volentieri nel vostro appetitoso viaggio.
Coscina di pollo
che voglia di partire!!! 🙂
i bigoli sono una delle cose più buone che mi hanno colpito a Venezia…tanti tanti tanti anni fa!!! ma..senza torchio..come si fa a farli?!?!?! 🙂
Ma quanto mi piace questo argomento, praticamente storia cultura e gastronomia vanno di pari passo, un tempo era proprio a tavola che si prendevano le decisioni importanti, e sempre la tavola era il biglietto da visita di chi ospitava….insomma è necessario tornare ad apprezzare ciò che si mangia con un occhio alla tradizione che è fatta di cose semplici e genuine..proprio come la pasta!
Grazie!
Donatella
un viggio super goloso!!…io lo farei per davvero..live!
Che bel giro! Iniziano a farmi male i piedi, ci voleva proprio una bella pausa pranzo… chissà dove ci porterete a mangiare!!!! Grazie alle nostre fantastiche guide!
Ma che bella questa nuova rubrica!!!
Valorizziamole, le paste della nostra bella Italia, espressione non solo della necessità, ma anche e soprattutto dell'ingegno che da sempre contraddistingue il nostro Popolo.
Abbiamo fatto dell'ars arrangiandi il nostro punto di forza, tanto che mi è capitato che un Tedesco mi dicesse, con palese invidia, "solo voi potevate inventare le linguine al nero di seppia"; sfruttiamo il vantaggio allora, specialmente in periodi come questo in cui l'identità nazionale è in forte crisi.
Che la cucina sia il nostro punto di partenza, grazie al recupero delle nostre tradizioni e del sostrato culturale da cui nascono!
Io ho già pronta la valigia….
fantastico!!!
bello, bello, bello… ma si troverà ancora il torchio per i bigoli in giro?
volevo chiederlo proprio a te 🙂
pensa che è già difficile trovare il Carnacina- Veronelli 🙂
E buon viaggio a tutti allora 😀
è strabiliante ogni giorno di più …quanto davvero l'unione faccia la forza…. buon lunedì ragaze, Flavia
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